A vent’anni di distanza il gruppo inglese torna in scena con K2.0 che rappresenta il sequel di K: “Abbiamo scalato la vetta del Pop fino a raggiungere una caverna pacifica di montagna che ci ha illuminato intellettualmente”, dice Crispian Mills, uno che quando parla fa riferimento ai testi sacri induisti. Non mancano i rimandi alla cultura orientale, Infinite Sun, primo singolo estratto dall’album suggerisce quanto lo stile sia rimasto quasi identico, Holy Flame sembra un tributo ai Blur e alla loro Coffee and Tv. Le canzoni di K2.0 hanno un tema ricorrente: come riuscire a riconciliare la vita spirituale con quella materiale, mondana: “Le antiche tradizioni dicono tutte la stessa cosa: siamo creature spirituali e la vera natura dell’Io è trascendentale, eterna e abissale. Nonostante questo, però, rimaniamo intrappolati in questa realtà temporanea che ci porta molto dolore. È ciò che può essere definita ‘situazione incompatibile’. Anche se ci crediamo, quanti di noi sono disposti a rinunciare a tutto come ha fatto san Francesco d’Assisi? Dobbiamo condurre una vita fondata su cose più serie e profonde, nonostante viviamo in un mondo di materialismo. Questo è come dovrebbe agire un guerriero spirituale. È duro e spesso molto confusionale, ma ha ispirato tanta arte nella storia”.
Composto da undici brani di cui meritano menzione Here come my demons e Oh Mary, K2.0 è un disco che non delude, anzi probabilmente aiuterà a rivalutarli a chi ci avesse messo una pietra sopra. Prossimamente si potranno vedere dal vivo anche in Italia per due date, a Milano il prossimo 25 febbraio e a Roma il 26.
Crispian, la macchina dei Kula Shaker riparte: che effetto fa?
Ci è sembrato che fosse il momento opportuno per rimettersi in marcia ed è entusiasmante solamente pensarci. Ricominciare a fare concerti è la cosa che più ci eccita, i Kula Shaker in fondo sono da sempre principalmente una band che fa musica dal vivo. Quindi siamo contenti di fare ciò che ci piace, cioè suonare.
Quali sono gli stimoli che vi hanno portato di nuovo sulle scene dopo circa sei anni?
Il ventesimo anniversario del nostro primo album K ha ispirato il nuovo disco, K2.0 che segna la fine di un ciclo, cominciato nel 1996, e inaugurato un nuovo inizio.
C’è stato qualcosa di più problematico che vi ha tenuti lontani dalle scene?
Personalmente sono stato impegnato a fare film, scrivere, dirigere, ma il tutto è un processo molto lento. E poi noi membri dei Kula Shaker abbiamo messo su famiglia, abbiamo altri interessi e progetti, ma a tutti è parso che questo era il momento opportuno da dedicare ai Kula.
Come è cambiata la vostra vita dai tempi in cui furoreggiava il Brit Pop con band come la vostra, i Blur, gli Oasis, i Bush?
A parte il fatto che passo troppo tempo della giornata davanti a uno schermo? Il cambiamento maggiore in ambito lavorativo è che ora siamo tutti artisti indipendenti, il che significa che produciamo i nostri album, ma al contempo abbiamo meno soldi da spendere in marketing e per pubblicizzarlo. Internet ha cambiato tutto e non sono sicuro se mi piaccia o meno.
Eri più felice all’epoca?
Beh, direi che si stava meglio quando eravamo agli albori, insomma i tempi poco prima che diventassimo molto famosi. Era divertente, eccitante, eravamo appena riusciti a trovare il nostro sound e il nostro modo di fare musica. Avevamo fatto dei tour in Europa con la band President of the United States of America. Più successo hai professionalmente e più sei sotto pressione. È difficile gestirla quando sei molto giovane. Eravamo tutti poco più che ventenni. Uno dei momenti più eccitanti è stato la prima volta che abbiamo suonato a New York. Abbiamo fatto uno show estenuante e poi abbiamo preso un volo per l’Italia svegliandoci a Roma godendoci un’alba magica. Fu la prima visita a Roma e me ne innamorai.
Voi siete ricordati principalmente per il sound orientaleggiante. Qual è il più grande cliché sui Kula Shaker?
Partendo dal fatto che l’idea stessa del rock&roll sia un cliché? A parte sesso, tagli di capelli ricercati, batteria e chitarre, la vera definizione di rock&roll è libertà di pensiero. La musica è un’espressione d’identità, sfida le convenzioni cercando di evitare di ripetere gli stessi errori delle generazioni precedenti.
Però non mancano in questo nuovo disco i riferimenti all’Oriente, ci sono echi di Govinda, brano che vi portò al successo e alla celebrità.
Certo, la cultura indiana fa parte della nostra vita e sarà sempre presente in un modo o nell’altro nelle nostre canzoni, come gli antichi mantra, i suoni… il sitar.
Musicalmente qual è la differenza sostanziale fra i vecchi Kula Shaker e quelli del 2016?
Vent’anni d’esperienza ci hanno insegnato a essere più calmi e rilassati. Più ti rilassi e più sei vicino al cuore. E poi sei più spontaneo. Credo che Pauli, il nostro batterista, sia diventato un musicista di classe a livello mondiale.
Pensate di essere arrivati alla vetta di questo K2.0?
Mi piace la tua analogia. È vero, abbiamo scalato la vetta e le valli del Pop fino a raggiungere una caverna pacifica di montagna che ci ha illuminato intellettualmente. Come dice Sri Krishna nel Bhagavad Gita: ‘Dai battaglia, è il tuo dovere di soldato, ma allo stesso modo affronta felicità, ansia, tristezza, la sconfitta, la vittoria. Se adempi al tuo ruolo in questo modo non commetterai mai peccato’. Ciò vuol dire, secondo me, ‘qualsiasi cosa fai, agisci nel modo che credi essere più giusto. Sii il migliore e fallo per amore ma non cercare di controllare il risultato. Sia quel che sia, abbandonati al destino’.
Nel tour promozionale vi esibirete anche in Italia: che cosa dobbiamo aspettarci?
Volume alto, rumore. Luci. E un viaggio nel tempo e nello spazio.