Questa una delle riflessioni che hanno portato il giudice a firmare il provvedimento che ha scatenato una nuova bufera sul Pirellone. Il magistrato fa riferimento a Fabio Rizzi e Mario Longo, rispettivamente consigliere della Regione Lombardia e presidente della Commissione Sanità e componente dello staff del braccio destro del governatore Roberto Maroni
Hanno usato “il potere politico” come “strumento per accumulare ricchezze” e non hanno esitato “a strumentalizzare le idee del partito che rappresentano, a intimidire facendo valere la loro posizione, chi appare recalcitrante alle loro pretese”. C’è anche questa riflessione nell’ordinanza di custodia cautelare del giudice per le indagini preliminari Emanuela Corbetta che ha firmato il provvedimento che ha scatenato una nuova bufera sul Pirellone e nel settore della sanità. Il giudice fa riferimento a Fabio Rizzi e Mario Longo, rispettivamente consigliere della Regione Lombardia e presidente della Commissione Sanità e componente dello staff dell’uomo considerato il braccio destro del governatore Maroni. Due leghisti “a libro paga” dell’imprenditrice Maria Paola Canegrati. La donna considerata a capo dell’associazione a delinquere, secondo gli inquirenti che citano una intercettazione di Longo, finanziò anche la campagna elettorale di Rizzi e non esitò a versare 10mila euro per le elezioni in Veneto.
L’imprenditrice a capo dell’associazione
Era lei, a capo della Servicedent, che con la “corruzione” superava “eventuali problemi di concorrenza nell’aggiudicazione degli appalti pubblici” e ricompensava i pubblici ufficiali “in forma più sottile e indiretta, ma è sicuramente in grado di renderli a tempo indeterminato fedeli e da sé dipendenti: l’assunzione di figli, coniugi o amici”. Del resto era lei stessa a dire durante una intercettazione ambientale: di aver “fatto tanti soldi” ma allo stesso tempo di averne “regalati tanti… ”
Per gli indagati, in generale, il giudice parla di un “sistematico e spregiudicato è il ricorso all’alterazione e alla contraffazione di documenti anche con l’ausilio dei dipendenti delle società riferibili proprio alla Canegrati, per tacere della collusione dei funzionari pubblici o ex funzionari pubblici ‘fedeli'” a lei. Una donna, che secondo gli inquirenti, ricopriva cariche societarie in moltissime società. “Costei ha già, infatti, dimostrato di disporre – argomenta il gip – di una fitta rete di connivenze disposte, per convenienza personale, a fare quadrato intorno a Canegrati e ad ostacolare verifiche ed accertamenti”. Un personaggio di primo piano nell’inchiesta perché si è visto come “abbia fatto della corruzione il principale, se non esclusivo, strumento, per garantirsi l’aggiudicazione delle gare di appalto presso le strutture pubbliche o la gestione di centri odontoiatrici presso strutture convenzionare, usando come grimaldello i politici al suo remunerato servizio…”.
I pubblici ufficiali “asserviti”
“Quanto ai pubblici ufficiali/incaricati di pubblici servizi coinvolti non si può che ribadire il loro totale asservimento all’imprenditrice o piuttosto ai vantaggi personali dalla stessa garantiti e in ragione dei quali vengono disinvoltamente sacrificati i doveri connessi alla loro funzione. Alcuni di loro – prosegue il giudice – risultano tutti legati da anni a Canegrati e da anni la favoriscono e la tutelano. La sfrontatezza e la facilità che tutti gli indagati svolgenti una pubblica funzione dimostrano nel violare costantemente i loro doveri istituzionali e le norme dello Stato, portano ragionevolmente a ritenere che lo spaccato di illegalità che traspare dalla presente indagine costuisca per tutti (anche per coloro che non vantano particolari legami di conoscenza con Canegrati) l’abituale modo di gestire la res publica, totalmente svilita in ragione del proprio personale rendiconto“.
Un rendiconto molto remunerativo se si pensa che, secondo i calcoli della Procura di Monza, il business attivato sarebbe stato di 400 milioni dal 2004 in poi. E che di fatto necessitava di creare anche società per l’accumulo del denaro: “L’attività pubblica diventa l’occasione per ottenere, se non quando esigere, pagamenti illeciti la cui consistenza e la cui programmata entità sono tali da richiedere la costituzione di società estere ove fare convogliare il denaro frutto della ben più remunerativa attività illecita parallela a quella pubblica”.
“A discapito della salute pubblica”
Come sempre la corruzione provoca anche danni collaterali: “Tutto ciò porta a concludere per un’elevata pericolosità sociale di tutti i soggetti coinvolti, ciascuno nella propria funzione incuranti degli interessi pubblici sacrificabili – chiosa il giudice – in ragione del proprio interesse anche a discapito, in concreto, della salute pubblica attraverso la fornitura di servizi e materiali scadenti o con costi superflui per la collettività”. E se qualcuno dei dipendenti si lamentava rischiava di essere preso a “sberle”. Ma non solo. La corruzione “provocava” liste d’attesa gonfiate e trucchi per far credere ai pazienti che una prestazione nel privato sarebbe costata soltanto poco più che una nel pubblico.