Non è facile giudicare il film perché sceneggiatori e regista costruiscono un allure tristanzuola e un po’ mesta, non un difetto ma nemmeno un preciso pregio, che la pellicola trascina con sé fin dalle prime sequenze
“Te gusta l’Uruguay?”. Per chi andrà al cinema dal 18 febbraio a vedere Onda su Onda meglio di sì. Perché l’opera terza di Rocco Papaleo è interamente girata nella capitale sudamericana di Montevideo. Ascissa e ordinata del discorso urbano, dopo un prologo marittimo su nave mercantile, per un film che fa della sua originalità di set uno strano oggetto nella commedia italiana contemporanea. Non è facile giudicare Onda su Onda proprio perché sceneggiatori e regista costruiscono un allure tristanzuola e un po’ mesta, non un difetto ma nemmeno un preciso pregio, che il film trascina con sé fin dalle prime sequenze. Qualcosa che somiglia ai lavori di Gianluigi Polidoro scritti da Rodolfo Sonego (Il diavolo, La moglie americana, Una moglie giapponese) dove l’intrusione dell’italiano, o degli italiani, in terre lontane diventava per l’emigrante motivo di scompenso esistenziale più sconsolato che comico.
Papaleo, in arte Gegé Cristofori, cantante confidenziale attempato e spompato, viene richiamato per un concerto in Uruguay 35 anni dopo un live memorabile. Sul cargo di una nota compagnia di navigazione italiana dove Gegé viene ospitato come fosse un naufrago lavora come cuoco Ruggero Chiaromonte (Alessandro Gassmann), avido lettore di libri e chef precisino, uno che non mette piede a terra da otto mesi e non ha intenzione di farlo nemmeno quando l’azienda lo obbliga a consumare le ferie. Due caratteri opposti che finiranno in zuffa, fino a quando Gegé rimasto senza voce dovrà accettare, ca va sans dire senza fiatare, uno scambio di persona per non buttare a mare il possibile guadagno del ritorno in scena. A Montevideo li attende infatti la bella Gilda (Luz Cipriota) che assieme alla ricca Rosalba sta organizzando la rentrée del cantante italiano, scomparso da anni perfino dal web. Il ribaltamento di ruoli e il concerto che in realtà non è altro che un perfido inganno chiudono il plot.
La commedia malinconica di Papaleo ruota di continuo il compasso di battute e dialoghi tra il vanitoso e rozzo disincanto di Gegé e la saputella e timida parlantina di Ruggero provando a stratificare una chimica emotiva che non s’infiamma come ci si aspetterebbe. Perché in Onda su Onda sembra di essere di fronte a un testo che spinge per deragliare da un’altra parte rispetto al più classico dei buddy movie: magari verso tinte surreali (la sequenza dei baci ai poliziotti, le gag con le signore delle terme), svolazzi poetici, e in una sanissima, e parecchio divertente, voglia di cantare e ballare come in un musical tappato ermeticamente.
Papaleo regista non ha girato un film deprecabile; semmai Onda su onda è un racconto che non vuole mai esplodere, di quegli ordigni rudimentali e potenti di qualche decennio fa che venivano innescati, ma che dopo la lunga attesa della consumazione della scia di polvere da sparo semplicemente non scoppiavano. Insomma si rimane lì davanti a questo concerto che non s’ha da fare, di fronte allo scambio di persona, all’identità perduta che non si fa vertigine comica ma espediente leggero di scrittura, attendendo sempre uno slancio, un colpo di coda o classicamente ‘di scena’ che arriva soltanto laggiù lontano lontano in fondo al racconto. Si tratta del piacevole e bizzarro brano Buena Onda interpretato con video performance da Gegé che fa pendant con la rilettura spiritosa e gradevolissima di Bella Ciao, Onda su Onda di Paolo Conte, e di altri brani cantati da Papaleo e che sono già un cd in uscita per Sony. Una colonna sonora davvero ruspante (esecutori: Francesco Accardo, Arturo Valiante, Guerino Rondolone, Gerry Accardo), country lucano-uruguagio tra armoniche a bocca, morbide percussioni e balletti pop, pezzo forte del film. Un’ultima annotazione: sarà un’altra scelta di regia, ma sullo sfondo delle inquadrature, sulla nave siamo d’accordo, ma anche in albergo, sui marciapiedi, in mezzo alle strade, c’è sempre pochissima gente. La mestizia di fondo molto densa e percepibile proviene anche da questo dettaglio. In fondo è un complimento. Basterebbe capire se è una scelta volontaria o meno.
Il trailer