Dopo aver fatto le barricate per difendere Garavaglia, coinvolto nel caso Mantovani, il Carroccio usa toni duri sul consigliere arrestato nell'inchiesta sugli appalti odontoiatrici. Sullo sfondo, lo scontro fra il segretario duro e puro e il governatore più attento al palazzo
“Hanno arrestato Rizzi”. L’sms rimbalza di telefono in telefono: “In regione ci sono i carabinieri. Sembra proprio che sia vero”. A metà mattinata arriva la conferma.
“Questa notizia ci ha colpiti tutti, non c’è nessuno che gode” assicurano i fedelissimi di Salvini. A conferma di questa tesi la presenza del direttore di Radio Padania, Alessandro Morelli, accanto a Roberto Maroni durante la diretta radiofonica della sera di martedì 16 febbraio: Maroni e un salviniano doc fianco a fianco per rassicurare la base e far sapere di essere uniti e compatti. Il messaggio è: “Nessuna frattura interna”, “Nessuna faida alle porte”. A pensar male, il fatto che nella Lega si sia sentito il bisogno di questa sottolineatura sembra un’ammissione. Del resto non è un mistero che, nelle scorse settimane e nei mesi passati, si sia consumata qualche frizione tra Maroni e Salvini durante la definizione di candidature e alleanze in vista delle prossime elezioni amministrative. Da una parte il segretario duro e puro, votato a una gloriosa sconfitta. Dall’altra l’uomo di palazzo, che per salvare gli equilibri al Pirellone aveva bisogno di accordi estesi e climi distesi. Alla fine è passata la linea di Maroni: larghe intese e braccia aperte agli alfaniani. Probabilmente se l’arresto di Rizzi fosse arrivato a giochi ancora aperti, l’ago della bilancia avrebbe potuto pendere a favore del segretario.
Fabio Rizzi, uomo di Maroni, appartiene alla seconda generazione leghista. Classe ’66, iscritto dai primi anni Novanta, è cresciuto (politicamente) nella sua Besozzo, a pochi passi da Gemonio, quartier generale del partito quando la Lega faceva politica in canottiera. E’ stato abile a rimanere a galla all’epoca delle faide interne al Carroccio, tra il 2011 e il 2012, quando avvenne la transizione tra la gestione di Bossi e quella di Maroni. Capì che per sopravvivere avrebbe dovuto voltare le spalle al vecchio capo e giurare fedeltà a Bobo. Ci è riuscito senza dare nell’occhio e in dote, l’amico Maroni, gli ha lasciato una candidatura alle regionali, dove approda nel 2013, dopo un mandato al Senato.
Oggi la buvette del consiglio regionale lombardo, orfana di Rizzi, è sommersa da una valanga di sguardi affranti. Una galleria del dolore. Chi scuote la testa, chi cerca di capire di più. “Ma li sapete i nomi?”, “ti risulta che sia stato arrestato anche Donato?” e, ancora: “Ma ho sentito che si tratta solo di 50mila euro”. Tra i consiglieri regionali di maggioranza e i loro collaboratori è un continuo scambio di sguardi, poi arrivano telefonate: “Stavolta è una cosa seria”. Il capogruppo Massimiliano Romeo trova la forza di fare una battuta all’indirizzo dei cronisti presenti: “Adesso ridete eh?”, altri distolgono lo sguardo e tirano dritto.
In giro per il palazzo c’è anche Massimo Garavaglia, l’assessore leghista indagato nell’inchiesta che, appena qualche mese fa, ha inguaiato l’ex vicepresidente Mario Mantovani. Per lui la Lega e il governatore della Lombardia avevano eretto barricate fittissime, mettendo in guardia chiunque dal parlare di tangenti. Il trattamento riservato a Fabio Rizzi è di segno opposto. Nel primo pomeriggio il segretario Matteo Salvini esordisce con una frase perentoria: “Chi sbaglia davvero, non merita la Lega” a cui in serata segue la sospensione dal partito. Qualche ora dopo, in consiglio regionale, Maroni dice di essere “incazzato e sorpreso”. Insomma, Rizzi è già stato scaricato. Evidentemente le sue accuse creano più di qualche imbarazzo tra via Bellerio e i piani alti della Regione. Ma a tremare di più è la giunta regionale.
Oggi Maroni e Salvini sono come due pugili suonati. Nessuno è finito al tappeto. Il colpo è arrivato forte. Loro hanno incassato alla meglio. Ai punti vince il segretario, ma certo non solleverà al cielo la cintura del campione.