Dopo tre anni di pontificato Mosca è più vicina per Papa Francesco. Ma lo storico abbraccio con il Patriarca Kirill, sognato da san Giovanni Paolo II ma sempre negatogli dall’allora capo della Chiesa ortodossa russa Alessio II, era nella mente di Bergoglio fin dalla fumata bianca del 13 marzo 2013. Era tutto scritto nel documento programmatico del suo pontificato, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium.

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In quel testo Francesco scrive: “Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati a un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione. Il Papa Giovanni Paolo II chiese di essere aiutato a trovare ‘una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova’. Siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello a una conversione pastorale”. Una porta spalancata agli ortodossi le cui Chiese sono autocefale e che per giungere all’unità con Roma mettono in discussione proprio l’esercizio del cosiddetto “primato di Pietro”, ovvero del Papa.

Francesco ha rotto anche questo tabù proseguendo una strada tracciata da Wojtyla che fu il primo Pontefice a visitare Cuba, nel 1998, luogo che è stato lo scenario dello storico abbraccio tra Bergoglio e Kirill. Proprio san Giovanni Paolo II desiderava compiere due viaggi storici: uno a Mosca e l’altro a Pechino. È la sfida ereditata dal Papa latinoamericano sul cui scacchiere mondiale la Russia e la Cina oggi sono più vicine. Ne è prova, oltre allo storico abbraccio con il Patriarca di Mosca, anche l’intenso rapporto con Vladimir Putin, già ricevuto due volte in Vaticano, e il messaggio di auguri rivolto al presidente cinese Xi Jinping in occasione del capodanno lunare.

“Un ecumenismo dell’amicizia”, quello incarnato da Bergoglio, come lo definisce il suo teologo di riferimento, il cardinale Walter Kasper nel volume scritto con il vaticanista Raffaele Luise, Testimone della misericordia edito da Garzanti. Ma anche un vero e proprio “ecumenismo del sangue”, come ha ricordato più volte Francesco, a causa dei cristiani perseguitati in Medio Oriente ma anche in tante altre parti del mondo, “spesso con il silenzio vergognoso di tanti“. “Il male – spiega Kasper – non risiede nelle differenze dottrinali, ma nell’ostilità reciproca con cui sono vissute. I conflitti vanno bene, ma devono poi essere ricomposti nell’amicizia”.

Secondo Riccardo Cristiano, vaticanista del Giornale Radio Rai, “molti hanno fretta, una fretta tremenda di risposte che, partendo dagli stili di vita, si dimostrino afferenti alla vita, alla loro vita. Bergoglio è il loro interlocutore? La sua modernità – scrive Cristiano nel volume Bergoglio, sfida globale edito da Castelvecchi – sta in una figura, il poliedro, che si oppone alla sfera del pensiero unico, della tecnofinanza, dove tutti i punti sono equidistanti, uguali: è l’immagine che ha usato per descrivere sia la Chiesa sia la globalizzazione che vorrebbe. Ma per orientarsi e tentare di capirlo nel contesto sociale, bisogna prima tentare di seguirlo in quello ecclesiale”.

La vera riforma del pontificato, infatti, consiste proprio nel Giubileo straordinario della misericordia. Un Anno Santo delle periferie con porte sante aperte in tutto il mondo, ma soprattutto con un invito alla conversione per i corrotti, i mafiosi, scomunicati dal Papa in Calabria, gli abortisti e i detenuti. È la grande scommessa di Papa Francesco.

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