Sognare è la cosa forse più bella che c’è. Senza il sogno non c’è creazione. Forse la fase storica che stiamo vivendo ha dato severi colpi al ‘sognare’, forse troppi: forse per questo la nostra ‘cultura’ si è un po’ fermata, assopita. Ma quel sogno ‘manifatturiero’, rozzo, informe, appena disegnato a colpi di carboncino, potrebbe meritare qualche ulteriore approfondimento.
Intanto diciamo che se l’Italia dalla situazione attuale passasse a quello schizzo mal disegnato, beh, potremmo quasi quasi sostenere che si troverebbe ad avere una sorta di ‘strategia industriale manifatturiera’ oggi del tutto assente. Il che non sarebbe poca cosa.
Dunque abbiamo rischierato le nostre truppe: ora dobbiamo dotarle di nuovi armamenti e probabilmente di nuovi regolamenti.
Nasce il problema dei capi: intendo parlare dei capi dei capi, cioè dei leader politici, che non possono non prendere in considerazione questa ‘novità’: il cambiamento sarebbe troppo forte per lasciarli sicuri sulle loro sedie se nulla facessero al riguardo, come loro inveterata abitudine…; il problema del ‘management’ di questa nuova situazione ‘nazionale’ diventa pesante: sia per i politici che per gli imprenditori, che devono abbandonare le loro condotte ripetitive e – in fondo – poco redditizie per tutti.
Cominciamo a vedere che cosa si porrebbe davanti ai politici: per loro la novità sarebbe addirittura drammatica.
Per prima cosa si accorgerebbero che non sanno nulla, ma proprio nulla, di questo mondo: lo stesso che da loro viene raccontato come… ‘la spina dorsale’ del nostro sistema industriale, ‘…che tutto il mondo ci invidia…’, eterno bla bla provinciale: è vero che siamo un Paese ‘esportatore’, ma di moda e di ‘food’: con la manifattura la nostra esportazione è parecchio occasionale e frammentaria, oltre che proprio minuscola…
I cosiddetti economisti sarebbero nel panico perché per affrontare questa nuova situazione bisogna ‘sporcarsi le mani’ immergersi nella realtà italiana, che non sta descritta in nessun tomo bocconiano o straniero o similare. Assisteremmo a grandi frasi/sentenza, ad effetto, ma il sistema non si muoverebbe – more solito – d’un passo. Sarà allora – come sempre in ritardo – che i nostri politici cominceranno a prendere in considerazione l’idea che questo ‘sistema manifatturiero’ debba essere ‘studiato’: già: oggi non esiste uno studio della nostra struttura manifatturiera orientato al ‘market’: cioè alla ‘domanda di mercato’, identificata nella sua composizione merceologica ma, soprattutto, di ‘business’: segmentata in modo da individuare grandi ‘linee di sviluppo’, con informazioni relative anche ai quadri competitivi, al previsto arrivo di nuovi prodotti, ecc. ecc.: pur con approfondimenti diversi, ovviamente, il sistema è sottoposto alle stesse logiche di un piano strategico di marketing aziendale: questo studio è ’pregiudiziale’ senza di questo non è possibile dare linee orientative, neppure le più vaghe, circa ciò che al nostro Paese converrebbe più intraprendere e perseguire.
In assenza di questo, rivolgiamoci pure ad una solerte sfera di cristallo che sarebbe la stessa cosa… Vietato dare incarico, per realizzare questo studio anche se in forma preliminare, sia agli ‘economisti’ che ai ‘consulenti’ anche si provata fama: occorre costituire una squadra di manager italiani dalla provata esperienza manageriale, che attivino e controllino un gruppo di studio apposito. Pena un aborto informativo che sarebbe anche pericoloso.
Avuto questo studio inizia il ‘momento creativo’, la ricerca degli strumenti politici e organizzativi che favoriscano (assolutamente senza imposizione) l’avvio verso obiettivi nazionali ben delineati saranno necessari dispositivi legislativi specifici, oggi inesistenti: occorrerà – ad esempio – detassare quelle imprese che si collocano nelle linee nazionali prescelte – specie se Oem -, oppure sarà utile creare dispositivi di incentivazione ad aggregarsi secondo gli schemi ‘olonici’: ecc.ecc. Tutto questo non esclude nessuna impresa – grandissima, grande, media o pmi.
Ma sempre i politici dovranno contemporaneamente attivare una serie di misure informative (anche coatte) per far sì che gli imprenditori abbiano chiara informazione sia degli obiettivi che delle tecniche ‘oloniche’, che al momento appaiono ancora nella grandissima massa assolutamente oscure.
Ma anche gli imprenditori devono muoversi: bisogna por mano ad una revisione e a una diffusione delle tecniche gestionali che si rendono necessarie per questa nuova situazione: tecniche che riguardano la ‘gestione caratteristica’ (quotidiana) di un’impresa organizzata in modo ‘olonico’ che è diversa da quella tradizionale oggi maggiormente diffusa.
Innanzitutto occorre dotare questi imprenditori di una conoscenza corretta dei loro costi industriali, cosa al momento affatto esistente e affidata al buon cuore di ciascuno: occorre introdurre i concetti dei ‘contratti a costo remunerato’, il cui scopo è quello di garantire la copertura di una parte certa dei costi fissi, lasciando la restante parte alle risultanze di una normale attività di mercato mirata al profitto.
Non si dimentichi che un’impresa può benissimo essere ‘olonica’ solo in parte, e in parte scatenarsi sul mercato libero.
Non sarà un’impresa facile: perché la ‘cultura aziendalistica’ che viene ogni anno riversata dalle scuole nelle aziende è sempre di tipo vecchio: quando non semplicemente amministrativa, la cultura gestionale aziendalistica non contempla per nulla tecniche di tipo ’olonico’: si consideri inoltre che il nostro ‘sistema universitario’ non è ancora in grado di elaborare un ‘modello gestionale’ per le nostre Imprese a gestione diretta (le chiamiamo pmi, ma è una sciocchezza: grandi o piccine, sono tutte – o quasi – a gestione ‘monocentrica’, non strutturata).
Sarebbe molto positivo se qualche nostra università commentasse queste osservazioni e avviasse un colloquio costruttivo al riguardo.