Sempre più spesso si parla del ritorno alla terra da parte dei giovani, un fenomeno in espansione, sancito anche dai dati dell’Istat che riportano, già da qualche anno, un incremento nel numero di occupati in agricoltura e in particolare degli under 35. Questo trend, almeno in parte, è una conseguenza del fatto che l’agricoltura, essendo un settore anticiclico, assorbe forza lavoro espulsa da altri settori nei periodi di crisi.
Ma non si può negare che un numero sempre maggiore di giovani torni (o approdi) all’agricoltura per una scelta di vita o perché ritiene che il lavoro nei campi sia la strada migliore per realizzarsi professionalmente. Le politiche nazionali e comunitarie, attraverso sgravi fiscali, mutui a tassi agevolati, premi all’insediamento di giovani in agricoltura, hanno senza dubbio favorito questo processo che, dal punto di vista sociale, e non solo, presenta diversi aspetti positivi.
Oltre al dato occupazionale, infatti, i giovani potrebbero dare nuovo vigore a un settore che sta diventando strategico per l’interesse nazionale e che pertanto avrebbe bisogno di nuovi approcci per far fronte ad alcune problematiche di portata mondiale, dalla sostenibilità ambientale alla realizzazione di sistemi alimentari più equi.
Dopo aver favorito il ritorno, tuttavia, è doveroso creare le condizioni per garantire una permanenza felice dei giovani in agricoltura, che sarà possibile solo se verranno affrontati e risolti alcuni nodi che attanagliano da sempre il settore. Primo fra tutti, lo scarso potere contrattuale degli agricoltori, soprattutto a valle delle filiere alimentari. Sarebbe auspicabile che i nuovi agricoltori diventassero sempre più produttori finali di cibo e sempre meno fornitori delle industrie alimentari.
Occorrerebbe, per questo, favorire il loro accesso a piccoli laboratori di trasformazione, riducendo i vincoli burocratici che non hanno effetto sulla tutela dei consumatori. Un altro elemento, che consentirebbe ai giovani agricoltori di poter navigare senza naufragare nel mare dell’agroalimentare, sarebbe una produzione fortemente identitaria e perciò legata alla biodiversità e alla territorialità, che permetterebbe loro di sottrarsi a una competizione legata unicamente al prezzo, in un mercato sempre più globalizzato.
Infine, dal momento che i giovani hanno una naturale, maggiore propensione all’innovazione, è fondamentale che essi possano accedere a innovazioni e a tecnologie “su misura”. Oggi, nell’agroalimentare, le innovazioni sono pensate e realizzate per lo più per i grandi numeri o per le grandi dimensioni, risultando di fatto inaccessibili a gran parte delle aziende agricole. Sarebbe importante finanziare e sostenere una ricerca scientifica attenta alle richieste che arrivano direttamente dal mondo agricolo, anche quando queste comportano sacrifici ai profitti delle multinazionali.
Insomma si tratta di creare le condizioni per far sì che i nuovi agricoltori possano essere più artefici del proprio destino, avendo a disposizione più reddito dal proprio lavoro e meno da sussidi pubblici. I benefici, come si diceva, riguarderebbero i diretti interessati ma anche la collettività, in termini di qualità alimentare, di sostenibilità ambientale e di salubrità per i cittadini.