“Più che a un parco piano piano l’area archeologica, soggetta a continue pressioni antropiche, assomiglia sempre più a un giardino, a un appezzamento di terreno circondato da costruzioni e capannoni e attraversato da strade già costruite…e da costruire…”. Era il dicembre 2014 quando la locale sezione di Italia Nostra scriveva del pericolo che correva l’area archeologica di Amiternum, nei pressi di San Vittorino, frazione de L’Aquila.
Un sos per la città, sviluppatasi tra la fine dell’età repubblicana e la prima età imperiale senza mura, ma con un edificio termale e soprattutto un anfiteatro ed un teatro di tutto rispetto. Si tratta dei monumenti conservati più significativi, sfortunatamente inclusi in due differenti spazi di visita. Sezionati dal tracciato della SS. 80 e da quello parallelo, che parte dalla Scuola della Guardia di Finanza, realizzato per il G8 del 2009. Circostanza questa che, evidentemente, ne rende meno immediata ai visitatori la loro inclusione all’interno del tessuto urbano antico. Insomma una situazione che non valorizza al meglio i resti archeologici.
Situazione, come denunciava Italia Nostra, in procinto di mutare. Ancora in peggio. Con l’aggiunta di due nuove viabilità.
I “Lavori di miglioramento delle condizioni di sicurezza mediante realizzazione di un nuovo svincolo con la SS. 260 e la SS. 80 in località Cermone”, che l’Anas ha progettato di realizzare immediatamente a ridosso del Teatro Romano e la “Sistemazione strada di collegamento via delle Fiamme Gialle – SR 80 dir – SP 30 “di Cascina”, ovvero la strada provinciale nelle località Torroncino e Grottoni.
Viabilità che verrebbero ad inserirsi in un’area, quella denominata “Ambito Fiume Aterno”, che nel Piano regionale paesistico è classificata “a conservazione integrale”. Ma non basta. La zona rientra anche nel D.M 21.06.1985 che ne prevede la salvaguardia integrale. Senza contare che la strada provinciale rientra in qualche modo nella Legge Galasso, dal momento che passa per un tratto entro la fascia di rispetto di 300 metri dal laghetto “Giorgio”, geosito alimentato da sorgenti perenni con un emissario che confluisce nel fiume Aterno.
Considerati i vincoli esistenti, chiedersi come tutto questo sia possibile sembra naturale. Interrogarsi su quali ragioni abbiano consentito ad Anas e Provincia de L’Aquila di ottenere le diverse autorizzazioni è legittimo. Peccato che in entrambi i casi sia improbabile avere risposte. Anche se un aiuto alla comprensione lo possono fornire le modalità con le quali si è svolta la conferenza di servizio del 30 ottobre 2011, nella quale è stato approvato definitivamente il progetto della strada provinciale.
In quell’occasione risultano assenti non solo il Comune de L’Aquila e la Regione, ma anche la Soprintendenza per i Beni archeologici e la Soprintendenza per i Beni paesaggistici. Insomma progetto approvato in assenza degli organi preposti alla tutela. Le successive indagini preventive predisposte dalla Soprintendenza archeologica in coincidenza con le aree interessate dalle nuove infrastrutture viarie non hanno fatto altro che confermare la loro rilevanza archeologica. Tutto inutile. Al punto che a gennaio 2015 c’è un nuovo appello. Questa di volta dell’Archeoclub de L’Aquila: “Ci chiediamo quale beneficio due nuove strade che duplicano una viabilità già presente possano apportare alla collettività tanto da poter superare i vincoli esistenti”, scrive al proposito la Presidente Maria Rita Acone.
Domanda senza risposta se poco prima della metà di febbraio sono ancora intervenute sulla questione l’Archeoclub de L’Aquila, l’Associazione Culturale di Rievocazione Storica “Compagnia Rosso d’Aquila”, l’Associazione Panta Rei, il Circolo Legambiente Abruzzo, il Fondo Ambiente Italiano, il Gruppo Aquilano di Azione Civica “Jemo ‘nnanzi”, Italia Nostra e Pro Natura . La proposta quella di realizzare un Parco archeologico. “Una strada turistica, percorsi di visita e passaggio su un ponte pedonale sulla Statale 80 tra le due aree di interesse archeologico potrebbero rendere più facilmente e piacevolmente visitabile l’area”, sostengono le associazioni.
Quel che è indubitabile è che ad Amitermo non sono tanto in pericolo i resti archeologici della città antica, ma piuttosto l’intero paesaggio. Il rischio è che teatro, anfiteatro e terme siano rinchiusi in recinti, sostanzialmente decontestualizzati.
“Si chiede al Ministro per i Beni e le Attività Culturali, alla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici per L’Abruzzo, alla Soprintendenza Archeologica di provare ad avere per una volta un po’ di coraggio e di essere forte con i forti negando la realizzazione delle opere con la semplice giustificazione che li sotto c’è un pezzo importante della antica città di Amiternum”, scriveva Massimo Cialone di Italia Nostra. Verrebbe da aggiungere, “con la semplice giustificazione che” quei monumenti non possono diventare poco più di uno snodo viario.