Ankara e Mosca stanno usando i flussi migratori causati dalla guerra in Siria per ricattare e mettere sotto pressione l’Unione Europea. Recep Tayyip Erdoğan gioca al rialzo e chiede non più tre miliardi, come da accordi, ma sei miliardi a biennio all’Unione per gestire il flusso migratorio: ovvero per fermare i siriani che fuggono dalla guerra. La Russia, poche ore dopo aver siglato i fragilissimi e già decaduti accordi di Monaco, precisava che non fermerà i raid contro le fazioni ostili al regime di Bashar Al Assad, continuando a bombardare Aleppo e ad alimentare i movimenti di profughi diretti verso l’Europa. E Bruxelles cosa fa? “Molte chiacchiere ma pochi fatti – commenta Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano – non sanno che pesci prendere. Leader come Angela Merkel sono alla disperata ricerca di un inutile accordo con la Turchia per togliersi il peso della promessa di accogliere tutti i siriani”.
Migranti come merce di scambio: la Turchia chiede miliardi per fermarli
“In passato abbiamo fermato le persone alle porte dell’Europa – ha dichiarato Erdogan durante i colloqui tra Ankara e Bruxelles conclusi a fine novembre, dichiarazioni rese note l’11 febbraio – possiamo però aprire le porte verso Grecia e Bulgaria in qualsiasi momento e mettere i rifugiati sugli autobus”. Tradotto: se non troviamo un accordo che rispetti le nostre esigenze, il flusso di migranti continuerà. “La Turchia chiede soldi – continua Parsi – Bruxelles le ha già accordato 3,2 miliardi, ma non è detto che poi Ankara rispetti gli accordi. Il Paese vede ogni giorno aumentare il numero di rifugiati, senza leggi, strutture e un’organizzazione adeguate. Ma sfortunatamente questo è considerato un problema secondario e non saranno tre o sei miliardi in due anni a cambiare la situazione”.
Raid su Aleppo per aumentare il flusso: Mosca punta alla riduzione delle sanzioni
A rafforzare il ruolo di Ankara è anche la strategia russa in Siria. I continui raid dell’aviazione di Vladmir Putin sulle città del Nord, in particolare su Aleppo, così, fanno crescere il numero di cittadini siriani in fuga dal Paese e diretti verso l’Europa. “Ѐ dalla Russia che parte tutto il meccanismo – continua il professore – Mosca utilizza questa situazione per raggiungere due obiettivi: lo stop o la ridiscussione delle sanzioni sull’Ucraina e il consolidamento della sua influenza nell’area con Assad al potere”. Così, la Russia sembra la potenza meglio posizionata nello scacchiere siriano: “L’unica strategia che ha ottenuto dei risultati è quella di Putin – dice Parsi – che è riuscito ad assumere un ruolo centrale nella crisi. Se poi, dopo l’importante accordo sulla produzione di petrolio con l’Arabia Saudita, il Cremlino riuscisse a ottenere anche l’ok dell’Iran, allora si troverebbe in una posizione veramente vantaggiosa”.
Europa divisa e troppo debole per negoziare
E l’Ue? Ha dimostrato di non saper reagire in maniera efficace, a causa della scarsa unione di intenti tra i diversi Paesi che la compongono. “Non siamo riusciti a gestire la questione come un’unione di Stati – continua Parsi – ma abbiamo ceduto agli interessi dei singoli Paesi che compongono l’Ue. Si devono recuperare e attuare gli accordi sul ricollocamento (sono state redistribuite solo poche centinaia di richiedenti asilo sui 40 mila promessi per il biennio 2015-2017, ndr), creare leggi comuni, ministeri comuni, iniziare a reinterpretare i trattati con uno sguardo paneuropeo. Insomma, un salto di qualità che ci faccia allargare lo sguardo rispetto al nostro orticello”.
Operazioni di terra e “rischio di un allargamento del conflitto”
Nell’arco di 24 ore, quelle trascorse tra l’annuncio dell’accordo e la Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera, si è passati dalla prospettiva di una soluzione al conflitto a un clima da nuova Guerra Fredda. “Ѐ veramente incredibile che politici, diplomatici e media abbiano potuto esultare per il non-accordo di Monaco – continua il docente – abbiamo assistito a una stretta di mano tra coloro che nel conflitto non sono impegnati direttamente, con ribelli, russi e governo siriano che, invece, non hanno alcuna intenzione di mettere fine agli scontri. Poi vediamo il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e il Segretario di Stato Usa, John Kerry, esultare perché lo Stato Islamico ha perso il 40% de territori. Perché non guardano chi se li è presi? Adesso sono in mano ad Assad e, viste le sue posizioni, questo allunga ulteriormente i tempi per arrivare alla pace”.
Quello siriano diventa così il “fallimento” della strategia diplomatica della coalizione occidentale. Ma l’intervento di terra ipotizzato da Arabia Saudita e Turchia, e ormai non più escluso nemmeno dagli Stati Uniti, non sono la soluzione: “Spero veramente che alla Casa Bianca non si siano bevuti il cervello – conclude Parsi – decidendo di appoggiare un’eventuale azione militare di sauditi e turchi, corresponsabili dell’ascesa di Isis. Un intervento Usa tirerebbe dentro anche Iran e, successivamente, Israele, con un rischio altissimo di allargamento del conflitto. Ma anche il solo intervento turco è pericoloso: immaginatevi se la Russia o il governo siriano rispondessero all’azione militare di Ankara. Immaginate le difficoltà nelle quali, a quel punto, si troverebbe la Nato”.