“Omero è nuovo questa mattina e nulla può essere più vecchio del giornale di oggi”, ammoniva in una celebre sentenza Charles Pèguy. Lo studio attento dei classici, perennemente attuali, contrapposti all’effimera sopravvivenza delle mode artistiche, è il fondamento di una cultura viva e profonda, distinta dall’erudizione compiaciuta e sterile. Quest’anno ricorre il 400esimo anniversario della morte di uno dei più grandi autori di tutti i tempi: l’eterno Bardo, William Shakespeare. Una voce suprema che, come ben poche altre (Omero, Dante, Michelangelo, Mozart, Bach, Rumi, Kabir) ha saputo raggiungere le vette dell’arte universale.
Le innumerevoli versioni delle opere shakespeariane (a parte alcuni luminosi esempi) spesso si dividono tra pedisseque ripetizioni accademiche e velleitarie versioni “contemporanee”, conformisticamente bizzarre a tutti i costi, tutte segnate da un urticante gusto della forzatura trasgressiva.
Sfugge a questo bivio necessariamente fallimentare lo spettacolo Shakespeare’s Women del TEV (Theatre of Eternal Values), in giro per l’Italia in questi giorni grazie ad un approccio originale ma devotamente rispettoso del colosso shakespeariano. Nell’impossibilità di reinterpretare il genio di Stratford-upon-Avon senza apparire arrogantemente superflui, la versione opta per una formula antologica, un viaggio trasversale in grado di lasciar emergere nuove prospettive, d’urgente attualità, dei classici d’epoca elisabettiana.
In Shakespeare’s Women, lo sguardo degli autori (Victor Vertunni e Monia Giovannangeli) si volge alle grandi personalità femminili create dal Bardo, da Ofelia a Titania a Lady Macbeth. Sull’onda dell’intuizione di Jan Kott riguardo a Shakespeare nostro contemporaneo, lo spettacolo è un percorso di conoscenza interiore, guidato dalla luce eterna e cangiante dell’Eterno Femminino, di cui i celebri personaggi rappresentano i differenti volti e le infinite sfaccettature.
Non a caso, il tour culminerà l’8 Marzo in una grande serata a Ginevra, per celebrare lo splendore della grazia femminile nei versi immortali del Bardo. Un aspetto peculiare dello spettacolo è la profonda dimensione spirituale che sottende alla rappresentazione: corpi ed espressioni degli attori compongono una sinfonia di gesti e movimenti in grado di creare una danza meditativa. La scena diviene un vero e proprio campo energetico in cui mettere in scena il valore eterno degli archetipi immutabili.
Del resto, la disperata ricerca del valore mistico del teatro ha ispirato, in maniera diversa (a volte con esiti opposti) alcuni dei più grandi maestri del Novecento, da Antonin Artaud a Julian Beck fino ad Eugenio Barba. In questo caso, però, non troviamo né la folle esaltazione della crudeltà artaudiana, né la caotica ritualità comunitaria del Living Theatre, né l’indiscriminata spontaneità incendiaria dell’Odin Teatret. Tutto è ispirato a una grazia d’altri tempi, a un equilibrio sapiente e sottile.
Gli autori così descrivono il loro intento, sul sito ufficiale della compagnia: “L’idea dello spettacolo nasce dal desiderio di comprendere l’evoluzione sociale del ruolo della donna, attraverso le figure femminili vissute nelle opere di Shakespeare, è da questa intuizione che nasce una dinamica scenico-dialogica in cui lo stesso autore, attraverso i dialoghi, fa rivivere le sue eroine ritrovando quell’unità corale capace di incarnare il corpo e lo spirito delle donne di tutti i tempi”.
Un esperimento difficile, ma degno di grande attenzione. E che sembra rispondere al tragico appello lanciato da Antonin Artaud al termine del suo saggio, splendido e tremendo, Il Teatro e la Peste: “Il problema che ora si pone è di sapere se nel nostro mondo che decade, che si avvia senza accorgersene al suicidio, sarà possibile trovare un gruppo di uomini capaci di imporre questo concetto superiore del teatro, che restituirà a tutti noi l’equivalente magico e naturale dei dogmi in cui abbiamo cessato di credere”.