E’ bastato azzoppare il canguro e Palazzo Madama è ripiombato nel Vietnam procedurale. Affossato l’emendamento “salta” emendamenti che avrebbe permesso al ddl sulle unioni civili che porta il nome di Monica Cirinnà (nella foto) di scampare le mille insidie del dibattito parlamentare, il Senato è ricaduto nel caos. Perché il “no” del Movimento 5 Stelle al “mostro anticostituzionale” della tagliola, come lo ha definito il grillino Alberto Airola, ha messo a nudo all’interno della maggioranza tutte le divisioni che, specialmente sul tema della stepchild adoption (l’adozione del figliastro da parte del compagno nella coppia omosessuale), rischiano ora di far saltare il banco sull’intero provvedimento.
Ma, fermo restando il via libera da parte del M5S ribadito dallo stesso Airola che, in un’intervista al Corriere della Sera, ha garantito “32 voti sicuri (su un totale di 35 senatori) su tutto il testo”, è il Pd che rischia l’implosione su un disegno di legge nato dall’iniziativa di una sua senatrice e fortemente sostenuto dal governo. E’ proprio all’interno del partito del premier Matteo Renzi che, del resto, si sta giocando la vera partita. Quella con i dem dell’ala cattolica. Per capire il livello di scontro tra le diverse anime del Pd, basta citare il tweet al vetriolo che l’europarlamentre renziano e attivista Lgbt, Daniele Viotti ha fatto cinguettare nei giorni scorsi: “La dico semplice ma non mi vengono altre parole: i senatori Di Giorgi, Lepri e i cattodem hanno rotto il cazzo. Buongiorno”. Ma chi sono i cattodem? Una pattuglia di circa 20 senatori che tra le file dei pasdaran annoverano, innanzitutto, i senatori citati da Viotti: Stefano Lepri, già assessore comunale di Torino e consigliere regionale del Piemonte, che già oltre un mese fa aveva pubblicato sul suo sito internet un commento per spiegare perché “l’affido rafforzato è meglio della stepchild adoption”; e Rosa Maria Di Giorgi, renzianissima della prima ora, ex assessore della giunta dell’allora sindaco di Firenze Renzi. Nomi ai quali si aggiungono anche quelli di Claudio Moscardelli, della salernitana Angelica Saggese, consigliera comunale di San Gregorio Magno, e del sindacalista padovano Giorgio Santini.
Schierati apertamente contro l’adozione del figliastro all’interno del ddl Cirinnà anche un tris tutto rosa composto da Venera Padua, medico Asl di Ragusa al primo mandato parlamentare; Laura Fasiolo (senatrice dal luglio 2014 per rimpiazzare la dimissionaria Isabella De Monte), goriziana, già membro della prima assemblea nazionale del Pd con Valter Veltroni; ed Emma Fattorini docente di storia contemporanea alla Sapienza di Roma e membro del Comitato nazionale di bioetica e del Comitato scientifico Treccani. Poi c’è Giorgio Tonini, tra i fondatori dei Cristiano Sociali nel 1993, dal 1999 al 2002 coordinatore politico del movimento, e successivamente uno dei 12 saggi che hanno redatto il manifesto del Pd, sponsor del modello dell’affido rafforzato in luogo della stepchild adoption. Come pure l’ex ministra del governo Prodi, Linda Lanzillotta. Il mese scorso, il sito gay.it aveva pubblicato, tra mille polemiche, anche un elenco dei senatori contrari alla stepchild adoption. Con tanto di indirizzi mail e contatti Twitter e Facebook invitando i lettori a scrivergli per indurli a cambiare idea. Tra i nomi, quelli di Stefano Collina, Gianpiero Dalla Zuanna, Nicoletta Favero, Claudio Micheloni, Raffaele Ranucci, Francesco Russo, Roberto Ruta, Giancarlo Sangalli e Gianluca Susta e Vito Vattuone. Orientati su posizioni critiche, anche Giorgio Pagliari, professore ordinario di diritto amministrativo all’Università di Parma; l’avvocato milanese Giorgio Cociancich, presidente della Conferenza Internazionale Cattolica dello Scautismo e già capo scout di Matteo Renzi, balzato agli onori delle cronache parlamentari per l’emendamento canguro che sbloccò il voto sulla riforma costituzionale; Paolo Corsini, professore universitario di storia moderna, già per due volte sindaco di Brescia; e Mauro Del Barba, già fondatore e co-responsabile della sezione provinciale di Sondrio dell’allora Margherita. Senatori questi ultimi che, tra i sostenitori del ddl Cirinnà, qualcuno ritiene possano ancora essere recuperati alla causa delle unioni civili. Come pure due laici del calibro di Vannino Chiti, ex ministro del governo Prodi ed ex governatore della Toscana, e il filosofo Mario Tronti, che non hanno mancato di confidare nei giorni scorsi i loro dubbi sull’adozione del figliastro.
Quanto al Movimento 5 Stelle, ha dichiarato la sua posizione Sergio Puglia, che ha fatto sapere apertamente che, con la stepchild adoption, non voterà il ddl Cirinnà. “Una cosa è ascoltare il grido di queste persone schiacciate da anni – aveva chiarito il senatore M5S nei giorni scorsi riferendosi agli omosessuali – un’altra cosa è la stepchild adoption. Io spero che l’articolo 5 sulle adozioni venga soppresso o cambiato”. Ed era stato lo stesso Puglia a dichiarare che le sue posizioni sono condivise anche dalla collega Ornella Bertorotta. Salvo, ovviamente, ripensamenti. Un terzo senatore del Movimento sarebbe ancora indeciso. Insomma, tre potenziali voti mancanti all’appello voti che, nel Vietnam del Senato, potrebbero pesare molto più di quanto ci si aspetterebbe.
@Antonio_Pitoni