righetti SCresciuto con un ideale di libertà – e d’America – molto personale, distante da quel che si è rivelato nella realtà, Antonio “Rigo” Righetti, professione musicista, specializzato in Basso, è sulle scene da molto tempo prima che fondasse La Banda, divenuta celebre al fianco di Luciano Ligabue quando registrarono il fortunato Buon compleanno Elvis!. “È una genesi musicale la mia, che ha un percorso molto ‘emiliano’. Un concetto, questo, che fino a qualche tempo fa non mi piaceva moltissimo, mi stava stretto. Con il passare degli anni però, e col sopraggiungere dell’età adulta, ho capito che invece è un fattore positivo e che ora sento vicino”. Dopo tanta gavetta, aver abbracciato la musica e averla fatta diventare il proprio mestiere è una scelta che ancora oggi gli dà grandi soddisfazioni, ricevute dapprima con i Rocking Chairs, poi come bassista di Ligabue e oggi da solista. “Nel corso della mia formazione ho avuto modo di suonare con tantissimi musicisti, da Willy De Ville a Elliott Murphy, da Robert Gordon a Mick Taylor, da Luciano Pavarotti a Luciano Ligabue, da Richie Kotzen a Uli Jon Roth, da Steve Wynn a Edoardo Bennato. Ho fatto cinque dischi tutti cantati in inglese, che è un po’ una sorta di suicidio commerciale nell’Italia post Duemila. Ne ho da poco pubblicato un altro, ancora in inglese, intitolato Water Hole e registrato in presa diretta senza clic, senza monitor, senza niente. Ho aggiunto qualche basso qua e là, è composto da sette canzoni e spero che magari qualche fan di Ligabue possa venire a un mio concerto e capire che è qualcosa di diverso”.

Canti in inglese, ma la pronuncia è un po’ quella che è…
Beh, questa è una cosa che vedo positivamente. Io scrivo in un broken english, lo ribadisco. Credo che sia ora che ci si consideri parte dell’Europa. Se ascoltiamo i Roxette, che non sono di madrelingua inglese, ma sono un gruppo svedese, non vedo perché non dovremmo farlo anche noi italiani. È giusto che ci esprimiamo nella lingua dell’Europa, con le s orgogliosamente modenesi, il diritto di farlo me lo arrogo anch’io. E poi sarebbe peggio far finta di essere americani.

Sei diventato famoso suonando ne La Banda che ha accompagnato Ligabue nel suo album di maggior successo: come nacque il vostro connubio?
Luciano mi chiamò per suonare con lui una volta, poi in seguito, quando risolse i suoi rapporti con i Clandestino, la band che l’ha accompagnato nei suoi primi tre dischi, mi ha chiesto di formare un nuovo team di lavoro. Ho messo dentro immediatamente Roby Pellati, poi  Mel Previte… più o meno eravamo i Rocking Chairs ma con un chitarrista in più. La stessa formazione che si è esibita al Campovolo il 19 settembre 2015, quando abbiamo riproposto Buon compleanno Elvis! integralmente.

Cosa significa per te pubblicare un disco oggi?
L’obiettivo non è tanto vendere il disco, un oggetto ormai un po’ alieno, ma incuriosire sul cosa ci sia dietro le canzoni: incuriosire sul perché c’è Danio Manfredini che legge una poesia di Raymond Carver, o perché nel brano Henry’s Siege Mentality viene citato Tolstoj, o perché il titolo viene da una poesia di John Berryman. La speranza è far capire che la musica è un fiume e  le acque le puoi risalire e andare alla fonte in un gioco meraviglioso. Spero che quello che stiamo vivendo sia un momento di crisi espressiva e che però possa esserci un neo-neo realismo come c’è stato nel cinema. Sono ottimista in questo.

Di cosa parlano le canzoni di Water Hole?
Non c’è un argomento principe, è un disco che parla più di rapporti umani che di massimi sistemi. Musicalmente è un progetto che parte dalla volontà di non chiudersi dentro alle confortevoli sponde di un genere preciso ma dalla istintiva aspirazione a lasciarsi andare nel mare magnum dell’ispirazione. C’è un pezzo intitolato The Beauty che è dedicato alla Guerra del Golfo.

La guerra è un tema ricorrente.
Il problema è che non va mai fuori moda, perché l’uomo da qualche parte è sempre in grado di organizzarla. Il disco parla di rapporti umani, del significato che ha l’amore, la famiglia, le scelte che facciamo, nonché l’idea missionaria che ha la musica. Credo che passi il mio messaggio: sono contro il materialismo che impone questa società, dove conti in base al tipo di macchina o casa che hai. Io credo che si viva bene anche con un frigo che ha 12 anni o con la televisione analogica.

Ci dicono che bisogna consumare.
Di tutto: libri, viaggi, mostre, musica, cinema. Un’idea che abbiamo importato dall’America, ma consumare per andare a fare la spesa mi sembra la fine della nostra civiltà e umanità. Il disco parla di queste cose, di quanto sia fondamentale leggere Tolstoj piuttosto che legger le robacce che vogliono propinarci.

La necessità della bellezza.
La bellezza quando la incontri la sappiamo riconoscere. In una persona, in una donna, in una chitarra, in un basso elettrico, in un concerto. E metterla in condivisione come ci è stato insegnato da chi è venuto prima di noi.

Come mai hai scelto questo titolo Water Hole?
È un concetto quello del water hole che indica la pozza d’acqua nella Savana dove si abbeverano in periodi di siccità gli animali delle specie più diverse, che si tengono d’occhio però convivono, le gazzelle, le zebre, i leoni, i coccodrilli, gli elefanti, che si guardano di sottecchi osservandosi, però convivono forzatamente in un equilibrio.

Il water hole è anche un concetto scientifico che riguarda il nostro universo.
Il water hole dell’universo è una fetta dello spettro audio dell’universo che è la più silenziosa del Creato. Che va dai 2.5 ai 3.5 giga hertz ed è quella che verrebbe scelta da una civiltà più evoluta della nostra per comunicare con noi attraverso lo spazio, perché sicuramente non comunicherebbero in una frequenza già occupata da una serie di rumori. Bisogno di comunicare e convivenza pacifica: ecco, ripensandoci questi sono i due concetti che ho voluto affrontare in un momento in cui sono  démodé, fuori moda.

Qualcuno potrebbe anche interpretarlo come un buco nell’acqua.
Ci può stare, però almeno abbiamo tirato un sasso e fatto quel buco nell’acqua. È anche una raccolta di canzoni nuove che trovano la sublimazione dal vivo, abbiamo la fortuna di poter fare tante date e ne vale la pena, malgrado le difficoltà. Sono un sognatore… è un sogno da hippy come quello di Neil Young. E io ci credo nei sogni.

Mi racconti la tua America?
Ci sono stato la prima volta quando militavo nei Rocking Chairs. Partiamo per gli Usa per registrare il terzo disco No say goodbye. Col senno di poi, una grande avventura. All’epoca le regole di ingaggio prevedevano che ogni membro che decideva di andare in America avrebbe dovuto pagarsi il volo e tutto il resto. Robby (Pellati) e Graziano (Romani), il cantante, partirono con l’Alitalia. Io invece, tentai di risparmiare qualche soldo viaggiando con la compagnia di bandiera jugoslava, la Yat. Mi fermai una notte a Belgrado e arrivai a New York da solo. Quel viaggio, pensai, mi sarebbe servito a riannodare i fili di una formazione intrisa di controcultura americana, fatta di grandi gruppi musicali e movimenti letterari, la Beat Generation e gli scrittori classici come Hemingway, Faulkner e Steinbeck. Era la New York degli anni 90 ma in realtà era tutto diverso da come me l’ero immaginato.

Hai provato molta delusione?
Rimasi molto deluso, certo. Vidi i primi homeless che dormivano all’addiaccio e rimasi molto colpito dal proliferare di un capitalismo selvaggio fatto di sprechi ed egoismo. Feci fatica a trovare l’America che mi ero costruito nella mia testa come un castello fatato, quel posto dove chi vive di musica è coccolato.

Cos’è che invece ti colpì?
In realtà ho trovato un luogo che di ispirativo aveva solo il contorno. Vedevo cose che per reazione mi inducevano a scrivere, a riflettere, e capii che il rock & roll come me l’ero immaginato era una favola. Una grande truffa.

E oggi che opinione hai dell’America?
Continuo ad ascoltare grande musica americana e mi duole assistere alla dipartita dei grandi riferimenti della musica rock. Però la società americana mi trova molto tiepido, è troppo complessa per chi ha la nostra formazione. E questo lo dico orgogliosamente. Ma il problema principale è che anche noi stiamo andando verso quella direzione. Infatti io che sto a Modena, mi guardo attorno e vedo homeless anche qui, e questo mi fa molto male. Conferma che rispetto all’America arriviamo un po’ in ritardo. Forse solo rispetto alle armi siamo restii, ma non ne sono più tanto sicuro.

Stasera RIGO suonerà presso il locale Na Cosetta a Roma, mentre queste sono le date del “Water Hole Tour 2016”:
• 20 febbraio 2016 Na Cosetta – Roma
• 21 febbraio 2016  Hades – Napoli
• 23 febbraio 2016  Marco’s Pub – Livigno (Sondrio)
• 26 febbraio 2016  Enoteca – Lunano (Pu)
• 25 febbraio 2016 Revel Theatre Treviglio (Bg)
• 26 febbraio 2016 Enoteca – Lunano (Pu)
• 3 marzo 2016 Mag Mell – Alessandria (Al)
• 4 marzo 2016 Magazzino di Gilgamesh – Torino (To)
• 19 marzo Rigo’s e Robby Pasteggio a Livello – San Felice S/P (Mo)
• 8 aprile McLogan Pub – San Giacomo (Sa)
• 15 aprile Fuori Porta – Carrara (Ms)
• 9 aprile Blue Dahlia – Marina di Gioiosa Ionica (Rc)
• 15 aprile Fuori Porta – Carrara (Ms)
• 13 maggio Rigo e Robby Attimo Divino – Aqualagna (Pu)
• 22 maggio Rigo e Robby Salumeria della Musica – Arceto (Re)

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