A me sembra che, come capita spessissimo da poco meno di tre anni a questa parte, le parole pronunciate ieri da Papa Francesco in una chiacchierata con i giornalisti abbiano suscitato qualche entusiasmo di troppo in tanti commentatori nostrani. A cominciare dal giudizio che Francesco ha dato del programma elettorale di Donald Trump: non cristiano, così l’ha definito il papa. È un giudizio molto severo, ovviamente perfettamente legittimo e per tanti versi nella sostanza assolutamente condivisibile, che tuttavia non solo rappresenta una pesante invasione nella politica interna degli Stati Uniti, ma che soprattutto appare un inaspettato regalo offerto al candidato della destra xenofoba, che infatti, gongolante di gioia, ha subito replicato dicendo che il Papa dovrebbe al contrario sperare che lui diventi presidente perché sarebbe l’unico in grado di proteggere il Vaticano dagli attacchi terroristici islamisti.
Sono un omaggio a Trump quelle parole perché è come se il papa si fosse messo sullo stesso piano del politico xenofobo che l’aveva già attaccato personalmente nei giorni scorsi per via delle sue posizioni sulle migrazioni. Immagino che Trump abbia cercato la polemica con Francesco perché quest’ultimo negli Stati Uniti è percepito da tanti come un pericoloso socialista, un difensore troppo radicale degli interessi dei poveri e degli ultimi. Attaccando il Papa, Trump ha fatto mostra di essere il miglior garante delle posizioni più radicalmente conservatrici molto forti nel suo elettorato. In altre parole, si è ulteriormente accreditato come campione dell’estrema destra attaccando un uomo che in tanti percepiscono come appartenente allo schieramento opposto. Una strategia perfettamente funzionale alla campagna per le primarie nel suo partito. Una strategia che il Papa ha in qualche modo accreditato menzionandolo esplicitamente in modo polemico, commentando per esteso le sue dichiarazioni, facendo l’esegesi del Trump-pensiero. Forse era stanco, come sostiene Michael Novak. Forse non ha resistito al desiderio di bacchettare un politico che non sopporta. Sta di fatto che quell’intervento ha finito per assomigliare ad un battibecco elettorale. Tutt’altro effetto avrebbe prodotto un generico richiamo alla necessità di non alzare muri e barriere, facilmente estendibile anche a quei politici europei e cattolici (ungheresi e polacchi) che nel progettare il respingimento dei migranti sono ben più avanti degli americani.
Nel seguito della conversazione con i giornalisti poi, Francesco è intervenuto anche sui temi di casa nostra. In particolare, ha detto che non vuole immischiarsi nella politica italiana, aggiungendo però, da un lato di aver su questo tema delegato i vescovi italiani, dall’altro di auspicare che i parlamentari cattolici votino secondo la propria coscienza “ben formata”.
Per chiarire a cosa intendesse riferirsi con quel “ben formata” ha citato il voto parlamentare argentino sul matrimonio gay e in particolare la dichiarazione di un parlamentare che disse “Preferisco dare il voto alla Kirchner e non a Bergoglio”. Cioè, preferisco votare la concessione di diritti ai gay che negargliela. “Questa non è coscienza ben formata” ha concluso Bergoglio, che in quella vicenda interpretava esattamente la parte che oggi recita Bagnasco, cioè quella di fermo oppositore delle unioni omosessuali. Del resto, pochi giorni fa, nella storica dichiarazione comune sottoscritta col patriarca russo Kirill, si lege che “la famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna. […] Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica.”
Insomma, almeno su questo, Francesco non è certo un innovatore, aderendo completamente, come egli stesso ha ripetuto tante volte, alla visione tradizionale della Chiesa. La novità che egli porta consiste nel non assegnare più a questi temi una priorità assoluta nella vita del cattolicesimo e a portare al contrario alla ribalta quelli dell’impegno sociale, civile e politico, che nella chiesa dei suoi predecessori erano spesso lasciati sullo sfondo, anche se mai del tutto dimenticati. A questo ribaltamento Francesco affianca lo stile misericordioso e inclusivo dell’ospedale da campo. Quello nel quale eventualmente accogliere, quando sarà il momento, quei deputati cattolici che non votarono come desiderava il vescovo di Buenos Aires Bergoglio o quei deputati cattolici italiani che domani potrebbero votare il disegno di legge Cirinnà. La misericordia e il perdono valgono insomma per tutti nella chiesa gesuitica di Francesco. Fatta eccezione per il cattivo Donald Trump.
Il Fatto Quotidiano, 20 febbraio 2016