La scalata a Downing Street e alla poltrona di primo ministro del potente sindaco di Londra, Boris Johnson, sta tutta in un articolo di 2mila parole pubblicato dal Daily Telegraph in edicola lunedì 22 febbraio. Così come, nello stesso testo, sta un appello in favore della Brexit, l’eventuale uscita del Regno Unito dall’Unione europea, che potrebbe cambiare le sorti del referendum del prossimo 23 giugno. Il biondo Johnson, che sempre più a Londra viene descritto come “un Donald Trump un po’ più politicamente corretto” per le sue sparate a effetto, si toglie la maschera e sul quotidiano conservatore più prestigioso del panorama britannico fa appunto le sue lodi a un Regno Unito – eventualmente – al di fuori del recinto comunitario. “Perché stiamo vedendo un lento e invisibile processo di colonizzazione, mentre l’Unione Europea si infiltra in ogni area delle politiche pubbliche”, scrive Johnson.
Brexit e Unione Europea sono i temi al centro dello scontro andato in scena proprio oggi alla Camera dei Comuni tra lui e David Cameron. A lanciare l’attacco è stato il premier britannico nel suo intervento con il quale ha illustrato al Parlamento i termini dell’accordo raggiunto la scorsa settimana a Bruxelles. “Non correrò per la rielezione, non ho altro interesse che ciò che è meglio per il nostro Paese”, ha detto lasciando intendere che dietro le posizioni anti-Ue del sindaco di Londra ci sia in realtà la sua ambizione di puntare alla leadership dei Conservatori.
Johnson contro i paradossi della Ue – A spaventare il primo cittadino di una delle metropoli più grandi e influenti al mondo è soprattutto quell’insieme di leggi e codicilli che rende sempre più ininfluente il parlamento di Westminster, considerando che “un qualcosa fra il 15 e il 50% delle nostre leggi è di derivazione europea”. E poi quelle norme che vietano di riutilizzare la stessa bustina di tè – un affronto contro un’usanza British – o che impediscono a un bambino al di sotto degli otto anni di età di gonfiare un palloncino, oppure quelle che impongono la misura delle banane vendibili o la potenza degli aspirapolvere. Paradossi, chiaramente, che tuttavia Johnson utilizza nel suo ragionamento per spiegare quella che ritiene essere “l’assurdità” di Bruxelles: un covo di “burocrati” che sempre più sminuiscono l’importanza del Regno Unito, quella Bruxelles dove solo il 4% degli uomini e delle donne che comandano viene dalla Gran Bretagna, nonostante al di qua della Manica abiti il 12% della popolazione europea.
“Noi confondiamo l’Europa, casa della più grande e ricca cultura del mondo, alla quale il Regno Unito contribuirà in eterno, con il progetto politico dell’Unione europea. Così è essenziale sottolineare come non ci sia nulla di anti-europeo o di xenofobo nel voler votare per l’uscita il 23 giugno”, scrive Johnson. E così i britannici “possono vedere l’impotenza dei politici eletti da loro stessi, come capita con l’immigrazione. Questo li fa arrabbiare, non tanto i numeri (degli immigrati, ndr) quanto la mancanza di controllo. Questo è quello che vogliamo dire quando sottolineamo la mancanza di sovranità, l’incapacità della gente di mandare via a calci, alle elezioni, gli uomini e le donne che controllano le loro vite. Stiamo assistendo – continua il sindaco – all’alienazione della gente dal potere che invece dovrebbe essere nelle loro mani, e io sono sicuro che questo stia contribuendo al senso di scollamento, all’apatia, alla visione che ‘tutti i politici sono uguali’ e non possono cambiare nulla, e all’avvento di partiti estremisti”. Una vergogna per un Paese che “un tempo era a capo di un impero”.
Cameron contro la tesi di Johnson sulla Brexit – Così, “c’è solo un modo per ottenere il cambiamento di cui abbiamo bisogno, ed è quello di votare per andarcene, perché la storia dell’Ue mostra come loro ascoltino una popolazione solo quando questa dica ‘no’. Il problema fondamentale rimane: loro hanno un ideale che noi non condividiamo. Loro vogliono creare un’unione veramente federale, mentre la maggior parte dei britannici non lo vuole”, conclude Johnson nella sua lettera al Telegraph. Ma contro la Brexit si è scagliato Cameron nel suo intervento alla Camera dei Comuni: “Non mi soffermerò sull’ironia di alcuni che se ne vogliono andare in realtà per rimanere”, ha detto sottolineando che “un approccio simile ignora le questioni più profonde della diplomazia e della democrazia”. Il premier ha poi aggiunto: “Non conosco nessuno che ha iniziato le pratiche del divorzio per poter rinnovare il matrimonio”. L’allusione era alla tesi di Johnson, secondo il quale una vittoria della Brexit nel referendum di giugno aprirebbe la strada ad un nuovo negoziato con Bruxelles nel quale la Gran Bretagna potrebbe puntare a condizioni migliori di quelle spuntate la scorsa settimana dal premier.
E Johnson e la leadership dei Tory – Quella sul Telegraph è la vera prima mossa di Johnson, dallo scorso maggio pure deputato di Westminster, per la leadership del partito conservatore. Del resto Cameron ha bisogno di un successore, spesso indicato dallo stesso primo ministro nel cancelliere dello Scacchiere (ministro dell’Economia), George Osborne, un uomo che tuttavia entusiasma assai poco le masse. Così non è per Johnson, vero mattatore della politica, amato a Londra sia dalla destra che – senza che lo ammettano – dalle persone di sinistra, un sindaco che cerca sempre di non scontentare nessuno e che ha fatto di Londra, negli ultimi anni, una capitale ancora più importante nella tecnologia, nel mondo delle startup e delle imprese ad alto contenuto di innovazione, nei trasporti e nell’edilizia. Una città dove ogni settimana si progettano e si avviano nuovi grattacieli, dove si sta costruendo una lunga e costosissima ferrovia sotterranea che taglia la capitale da ovest a est, dove la metropolitana – gestita in parte anche dal Comune – macina profitti, fra le poche aziende pubbliche dei trasporti al mondo a farlo. Una metropoli, ancora, dove quartieri fino a pochi anni fa degradati ora sono stati ‘gentrificati’, tirati a lucido e resi più ricchi, per la gioia soprattutto dei proprietari immobiliari ma anche per la disperazione di chi non si può più permettere affitti sempre più cari.
Dopo aver plasmato a sua immagine e somiglianza una capitale mondiale, ora Johnson – classe 1964 e famoso in tutto il mondo per la sua capigliatura eccentrica, che non ha mai cambiato dai tempi in cui era compagno di Cameron nei prestigiosi club degli studenti dell’Università di Oxford – proprio del primo ministro Tory vuole prendere la poltrona a Downing Street. E la fanta-politica già ragiona su un futuro Regno Unito governato da un vulcanico ex giornalista, che usa la parola a volte quasi come un fioretto, e di un futuro Regno Unito al di fuori dell’Unione europea e sempre più lontano dai palazzi di vetro e acciaio di Bruxelles.
Scontro sulla sovranità di Londra – Intanto, però, la questione si gioca tutta dentro Westminster. Durante lo scontro Cameron-Johnson, il sindaco ascoltava in silenzio, come gran parte dei deputati conservatori, mentre le uniche voci che risuonavano nell’aula dei Comuni erano quelle dei parlamentari laburisti che sottolineavano i ripetuti attacchi del premier al sindaco di Londra. E’ stato poi Johnson a prendere la parola nel corso del dibattito, con una domanda rivolta al premier riguardo alla sovranità che Londra avrebbe riconquistato rispetto a Bruxelles a seguito dell’accordo. “L’accordo restituisce alcuni poteri in materia di welfare, di immigrazione e di banche, ma soprattutto ci pone per sempre al di fuori di un’unione ancora più stretta”, diceva Cameron. Parole che Johnson accompagnava mormorando chiaramente, “rubbish, rubbish”. “Sciocchezze”.