L'incidente avvenuto a 500 km da Tokyo. Kansai Electric Power ammette la fuoriuscita di 34 litri d'acqua ma sostiene che non ci sia stato alcun impatto sull'ambiente. Dopo lo stop causato da Fukushima il governo di Abe spinge per il ritorno all'atomo
Kansai Electric Power (Kepco), utility giapponese che genera energia anche attraverso il nucleare, ha riferito sabato che i propri tecnici hanno rinvenuto una pozza d’acqua contaminata in un reattore che – dopo anni di stop – dovrebbe essere riavviato alla fine di febbraio. Kepco – che produce anche energia idroelettrica e termoelettrica – ha comunicato sul suo sito web che 34 litri di acqua radioattiva sono stati rinvenuti presso l’unità No.4 del suo impianto nucleare di Takahama. nella prefettura di Fukui, 500 km a ovest di Tokyo.
Non c’è stato alcun impatto sull’ambiente – ha garantito la società – aggiungendo, due giorni più tardi, che a causare la perdita sarebbe stato l’allentamento di un bullone. Kansai non chiarisce se il riavvio del reattore sarà posticipato. Il sito è chiuso dal luglio 2011, alcuni mesi dopo terremoto e tsunami che devastarono la centrale nucleare di Fukushima. Kepco aveva già riavviato il reattore Takahama No.3 a fine gennaio, nel quadro di una serie di test. È stato il terzo reattore in Giappone a riprendere le operazioni dopo aver superato i controlli di sicurezza imposti a seguito del disastro di Fukushima.
Contro l’apertura dei reattori 3 e 4 di Takahama si era espressa una corte locale lo scorso aprile, sposando le tesi della popolazione locale. Nella sua sentenza, il giudice Hideaki Higuchi disse: “C’è poca base razionale per dire che un terremoto di magnitudo superiore al livello di sicurezza non si verificherà. Si tratta di una visione ottimistica”. I residenti e gli antinuclearisti avevano sperato che la sentenza creasse un precedente in tutto il Giappone o, quanto meno, l’inizio di lunghe battaglie legali che potessero ritardare il rilancio del nucleare. Tuttavia, la vittoria ha solo posticipato di poco il riavvio del reattore No.4 di Takahama.
Il punto è che di fronte a prezzi dell’energia aumentati del 20 per cento, società energetiche in perdita che devono essere sovvenzionate dal bilancio dello Stato ed enormi costi di bonifica a Fukushima, il governo del Primo ministro Shinzo Abe ha spinto per la reintroduzione del nucleare nel mix energetico.
Prima dell’incidente di Fukushima, con 54 reattori attivi in tutto il Paese, il Giappone si basava per un buon 30 per cento del proprio approvvigionamento energetico sull’energia nucleare. Tuttavia, dal settembre 2013, con lo spegnimento dell’ultimo reattore attivo – il No.4 della centrale di Oi, nella provincia sudoccidentale di Fukui – il Giappone è diventato un Paese virtualmente a nucleare zero. Da allora il governo Abe ha cercato di rilanciare. Nell’aprile del 2014, il governo ha approvato un primo testo dove si faceva riferimento al nucleare come fonte “importante” per il fabbisogno energetico del Giappone, subordinandolo però a priorità di sicurezza. La manovra a tenaglia di governo e organizzazioni imprenditoriali si è acuita negli ultimi mesi con la riapertura di due reattori nella centrale di Sendai – nel sud del Giappone – ad agosto 2015.
E poi, naturalmente, il martellamento mediatico. Gli argomenti sono i soliti sventolati dalle lobby dell’atomo un po’ ovunque. Yoshimitsu Kobayashi, presidente della Keizai Doyukai – l’associazione dei manager delle corporation nipponiche – si è spinto a dire che Fukushima è stata una specie di «epatite fulminante», cioè un incidente localizzato che non può mettere in discussione l’intero settore.
E il movimento antinucleare? Dopo il boom all’indomani di Fukushima, appare un po’ in fase di stanca e le maggiori proteste della società civile – almeno nelle maggiori città – riguardano ormai altri temi scottanti, come la revisione dell’articolo 9 della Costituzione giapponese, quello “pacifista”.
di Gabriele Battaglia