E' la decisione della sezione 54 della corte d’appello di Teheran, presieduta dai giudici Pour-Arab e Babaei. L'intellettuale, famoso per il film "L’avventura di una coppia sposata" è stato condannato per aver stretto la mano a una persona con cui non aveva un grado di parentela, per aver vilipeso le istituzioni sacre dell’Islam e fatto propaganda contro lo Stato
Domenica sera è arrivata, direttamente da Keywan Karimi, la mail che temevamo di ricevere: la sezione 54 della corte d’appello di Teheran, presieduta dai giudici Pour-Arab e Babaei, ha confermato la condanna al carcere (un anno anziché sei) e a 223 frustate, aggiungendovi una multa equivalente a 600 euro.
Detto che le 223 frustate riguardano l’aver stretto la mano a una persona con cui non aveva grado di parentela, la condanna di Karimi al carcere per offesa alle istituzioni sacre dell’Islam e propaganda contro lo Stato è legata direttamente alla sua attività artistica.
La vicenda giudiziaria inizia il 14 novembre 2013. Agenti di polizia entrano senza mandato in casa del regista. Lo arrestano e portano via gli hard disk dei suoi computer. Dopo 12 giorni, viene rilasciato su cauzione ma, nel frattempo, l’inchiesta è stata avviata.
Le “prove” dell’offesa alle istituzioni sacre iraniane vengono trovate negli hard disk. Un video musicale lasciato a metà e un documentario intitolato Scrivere sulla città, mai proiettato e di cui è disponibile solo il trailer su YouTube, sull’uso dei graffiti come mezzo di comunicazione politica dalla rivoluzione islamica del 1979 alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad nel 2009.
Keywan è molto conosciuto all’estero. Il suo film più noto è L’avventura di una coppia sposata: un bianco e nero minimalista tratto da una storia di Italo Calvino, premiato in Spagna e in Colombia e anche all’International Film Tour Festival di Civitavecchia.
Oltre a Scrivere sulle città, un’altra opera che potrebbe aver irritato le autorità è un cortometraggio dal titolo “Frontiere spezzate”, in cui si denuncia il contrabbando di gasolio verso il Kurdistan iracheno attraverso i monti Zagros. Nel corto, un insegnante chiede ai suoi alunni: “Cos’è una frontiera?”. Risposta di uno di loro: “Un posto attraverso il quale si contrabbanda merce”.
La vicenda di Karimi pare rientrare nello scontro politico in atto in Iran tra “falchi” e “colombe”: l’Università di Teheran ha sostenuto sempre i lavori del regista, compreso “Scrivere sulla città”. In favore dell’annullamento della condanna di Karimi si erano mobilitati, oltre ad Amnesty International, l’associazione 100autori e Iran Human Rights Italia che ora annunciano nuove iniziative. Nella sua mail, Karimi auspica che le autorità gli consentano di ritardare l’ingresso in prigione affinché sua madre, attualmente gravemente ammalata, possa ristabilirsi.