Assediati, intimiditi e minacciati. E’ una corda appesa al collo che si stringe con il passare delle ore. E’ una storia drammatica, assurda. Oggi potrebbe essere già troppo tardi, per raccontarla. Occorre salvarli, metterli in sicurezza, tutelarli. Lo Stato, quello con la ‘s’ maiuscola, non può trincerarsi dietro carte bollate, leggi ondivaghe e rapporti investigativi poco aderenti con la realtà e le cose che accadono. Sono in pericolo, tutti lo sanno nel vicolo, prima o poi li ammazzeranno.

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L’ultimo episodio è accaduto a cavallo tra venerdì e sabato nel cuore della notte. Un urlo squarcia il silenzio: “Consegnaci tuo fratello…Zapata”, seguono tre colpi di pistola esplosi in rapida successione. Panico, caos e paura con i condomini sul piede di guerra: “Dovete andare via dal palazzo…”. Accade nel centro storico di Napoli asfissiato dalle bande sfrantumate di camorra che si contendono pezzo dopo pezzo il territorio a suon di sparatorie e morti ammazzati.

I militari della missione voluta dal ministro dell’Interno Angelino Alfano presidiano i rioni, ma ci sono luoghi dove nessuno si addentra, neppure l’esercito. Celeste Misso ha poco più di 40 anni, è madre e vedova, vive con suo fratello Manolo Benur Misso, più piccolo di lei, entrambi sono figli di Umberto, fratello del più noto Giuseppe Misso (Missi all’anagrafe) e conosciuto con il soprannome di ‘O Nasone. Personaggio di spessore, capo indiscusso di un clan che nel rione Sanità aveva la sua fortezza e in alleanza con i Sarno ed i Mazzarella aveva esteso i tentacoli in tutta la città.

Per oltre 20 anni Giuseppe Misso ha regnato come un monarca. In carcere nel corso di una lunga detenzione scrive il libro I leoni di marmo, in cui racconta la sua vita. E’ il manifesto del suo potere popolare: dalla parte dei più poveri, dei diseredati nella difesa del “suo” rione. ‘O Nasone è un padrino vecchia maniera, un capìntesta, uno che toglie e mette pace. Intrighi, potere, violenza e poi la politica…

Il suo clan attraversa sanguinose guerre di camorra e vicende per molti versi rimaste in penombra come la strage del treno rapido 904. Ne uscirà assolto. Nel 2005 nel granitico clan accade una scissione. C’è un punto di non ritorno della faida. A Porta San Gennaro – il 30 ottobre del 2006 – in un agguato viene ucciso con quattro colpi di pistola – mentre esce da un bar – Vincenzo Prestigiacomo, 33 anni, marito di Celeste Misso. E’ un escalation di violenza. E’ una guerra senza esclusioni di colpi. Resteranno sul selciato almeno 20 morti.

Nel 2007 ‘O Nasone è ancora considerato nello scacchiere del potere camorrista, un capo. Accade però l’imprevedibile. A distanza di pochi mesi Giuseppe Misso junior, – quello che era considerato il suo erede naturale – e suo fratello Emiliano Zapata Misso si pentono. I due giovani sono i fratelli di Celeste e Manolo Benur. Vuotano il sacco e raccontano con dovizia di particolari i segreti del clan. E’ la svolta investigativa. Salta il coperchio. Finiranno in cella boss, gregari, luogotenenti e affliati. Riscontri precisi, processi e seguiranno condanne esemplari.

Lo stesso padrino Giuseppe Misso passa dalla parte dello Stato. E’ un collaboratore di giustizia, insieme ai due nipoti finisce sotto protezione. E’ un’epoca che si chiude. Il clan Misso è spazzato via dalla geografia criminale. Racconti che diventano prove incontrovertibili. Ci sono dei distinguo. Nel gorgo finiscono anche Celeste e Manolo Benur. In ragione dei legami di parentela, il servizio centrale di protezione accorda una tutela. Trasferimento in un’altra città, identità false, una casa e un sostentamento. Accade dopo qualche anno che pur restando il pericolo di ritorsioni, il ministero dell’Interno rivede alcune posizioni. Celeste e Manolo Benur Misso rischiano di trovarsi senza più una copertura. Lo zio, l’ex boss, chiede al servizio centrale un’estensione della tutela ai suoi nipoti. La Commissione però rigetta la richiesta; nessun piano provvisorio di tutela.

Celeste e Manolo Benur in data 2 ottobre 2015 ricevono una comunicazione ufficiale dove vengono informati che l’ufficio pur non escludendo la presenza di un rischio concreto perchè parenti diretti di Giuseppe Misso junior e Emiliano Zapata Misso revocano la misura speciale di protezione. Lo Stato li scarica. Abbandonati – in pratica – al loro scontato destino. Esposti a ritorsioni e regolamenti di conti pur non c’entrando nulla direttamente con i clan. Sono obiettivi sensibili, trasversali. E’ solo l’antefatto. Il 23 novembre 2015 alle due di notte un giovane si ferma e comincia a urlare sotto la loro abitazione: “Siete una famiglia di pentiti, vi dobbiamo ammazzare tutti, vi incendieremo vivi a casa”. Trascorrono poche settimane, i segnali si fanno sempre più inquietanti. E’ un crescendo di intimidazioni. Il citofono suona di continuo. La voce è sempre la stessa: “Siete una famiglia di pentiti, morirete tutti”. Poi in strada, dal fruttivendolo, davanti scuola, fuori la chiesa, a mezza bocca: “Andate via dal quartiere, altrimenti vi ammazziamo”.

Di notte accade che i cani abbaiano, qualche rumore sordo, c’è chi tenta di entrare attraverso un terrazzo nella loro abitazione. Non mancano gli appostamenti sotto al palazzo. C’è chi controlla se le luci di casa sono accese. Chi transita in sella a uno scooter e guarda come se volesse sparare. Un inferno. L’ultimo episodio è quello accaduto tra venerdì e sabato notte: tre colpi di pistola esplosi vicino a dove abitano. Nell’ennesima denuncia presentata alla polizia Celeste e Manolo Benur hanno chiesto alle autorità di intervenire, di farlo al più presto, di aiutarli. Non sanno cosa fare. Sono come sospesi. Vivono trattenendo il fiato. Ecco, in apnea. Fantasmi, spettri o meglio morti che camminano. Ora qualcuno tra la Procura di Napoli, il Servzio centrale di protezione, la Commissione centrale e il ministero dell’Interno si assuma la responsabilità della tutela e della sicurezza di queste persone. Non farlo sarebbe grave. Anzi imperdonabile.

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