Lavoro spesso dimenticato, segregato al commento post proiezione “bella la fotografia”, quello del direttore della fotografia è invece apporto cruciale, trait d’union tra reparti, architrave fondamentale su cui basare l’essenza espressiva della visione. L’Oscar per questa categoria è passato di mano in mano, di ottiche in ottiche, tra lo svedese Sven Niqvist (Sussurri e grida, Fanny e Alexander) e l’italiano Vittorio Storaro (L’ultimo imperatore, Reds, Apocalypse Now), ma anche da John Alcott per Barry Lyndon allo spagnolo Nestor Almendros fino a Vilmos Zsigmond (morto di recente, vincitore per I Cancelli del cielo di Cimino)
Per tre film tra i cinque nominati l’immaginario visivo pulsa di luce e colori basandosi principalmente su esterni; mentre Lachman per Carol lavora di più sulle sfumature da interni, e Richardson in The Hateful Eight mescola sapientemente fulminanti e brevi esterni innevati con lunghi interni illuminati spesso da luce naturale. Non per questo gli ultimi due devono partire sfavoriti perché candidati per due film in cui l’apporto fotografico risulta sulla carta meno virtuoso o spettacolare. Lachman, un raffinatissimo veterano del settore che ha girato, tra gli altri, con Herzog, Wenders, Schrader, Soderbergh e Altman, ha scelto in accordo con il sodale Tood Haynes (con lui: Lontano dal paradiso e I’m not there) di girare Carol usando una pellicola super 16 mm – gonfiata in 35mm – per ricreare un’atmosfera più consona al 1952, anno in cui il racconto di Carol si svolge.