Televisione

Vinyl, la serie prodotta da Jagger e Scorsese non convince: it’s only Rock’n Roll, but I don’t like it

Su Sky Atlantic è arrivata la serie, targata HBO, scritta da Terence Winter e prodotta da Mick Jagger e Martin Scorsese, il regista premio Oscar che ha anche firmato la regia del lungo pilot con il quale Vinyl ha ufficialmente debuttato dopo un'attesa carica di aspettative, parzialmente inattese

«It’s only Rock’n Roll, but I like it» cantava nel 1974 un travolgente Mick Jagger in versione marinaretto, accompagnato dai Rolling Stones, in risposta all’ingerenza mediatica, professionale e privata, nelle loro vite. Proprio lo sbocciare del rock e del punk sulla scena newyorchese dei primi anni ’70 è l’imput dal quale prende vita Vinyl, la serie scritta da Terence Winter (già autore ed executive de I Soprano, Boardwalk Empire e The Wolf of Wall Street) e prodotta dal leader delle “pietre rotolanti” insieme a Martin Scorsese, il regista premio Oscar che non ha mai fatto mistero della sua passione per la musica, realizzando più di un lavoro – Da Mali al Mississipi, No Direction Home: Bob Dylan, Shine a Light e George Harrison: Living The a Material World – con il quale ha immortalato le storie di alcuni dei protagonisti stessi del genere nato come evoluzione dei canti intonati dagli schiavi nei campi di cotone del sud degli Stati Uniti che dal blues di Muddy Waters arriva fino alle canzoni dei ragazzacci inglesi, antagonisti, a suon di singoli, dei più “inquadrati” Beatles. Un trittico esplosivo per un progetto, inizialmente pensato per il grande schermo, targato HBO, il network statunitense che aveva già distribuito la serie della coppia Winter/Scorsese ambientata nell’Atlantic City del proibizionismo, tra boss mafiosi, corruzione e litri di alcool di contrabbando.

Proprio il regista di Taxi Driver ha firmato la regia del lungo pilot con il quale la serie ha ufficialmente preso il via oltreoceano e che gli spettatori italiani hanno potuto vedere in contemporanea con gli States grazie a Sky Atlantic. Oltre un’ora e mezza nella quale abbiamo fatto la conoscenza di Richie Finestra (Bobby Cannavale), ricco produttore musicale a capo dell’American Century Records, etichetta discografica sull’orlo della bancarotta che il nostro cerca di vendere ai “crucchi” della PolyGram per evitare di venir risucchiato dai suoi stessi errori. Un re di un regno al collasso, dunque, che Scorsese ci presenta in un’anonima vietta di New York, una notte del 1973, intento a sniffare cocaina dallo specchietto retrovisore della sua automobile, fino a quando gli schiamazzi della folla radunata davanti ad un club adiacente non attirano la sua attenzione. Incuriosito, Finestra, entra nel locale, tra siringhe usate gettate a terra e giovani catturati dalla performance dei New York Dolls che diventano agli occhi del discografico in crisi l’espressione diretta di un nuovo percorso da seguire per risalire la vetta. Da quella notte fatta di disperazione, speranza e polvere bianca, Scorsese, con una serie flashback, ci porta indietro nella vita dell’uomo, dagli inizi della sua scalata professionale fino ad una manciata di giorni prima di quella epifanica notte newyorchese.

Guardando Vinyl e i suoi protagonisti, dal già citato Finestra, stretto tra l’incudine e i martello di un passato persecutorio e un presente contorto, alla moglie Devon (Olivia Wilde), che ha lasciato la vita da modella e factory girl di Andy Warhol, per giocare al ruolo, stretto, di perfetta moglie e madre di famiglia in Connecticut, fino a Jamie C. Vine (Juno Temple), segretaria tuttofare con aspirazioni da talent scout, si ha l’impressione di assistere ad un progetto perfettamente confezionato ma che non brilla in originalità. Ovviamente la scrittura e la messa in scena raggiungono livelli di qualità che spesso tendono a latitare anche in produzioni indirizzate al grande schermo, visti anche i nomi illustri coinvolti (tra i quali figura il direttore della fotografia Rodrigo Prieto), ma questo non sembra bastare per evitare la sensazione di assistere, per quanto riguarda il pilot, a qualcosa di già visto, ottimo, ma pur sempre già visto. Il personaggio interpretato da Bobby Cannavale è strutturato in modo tale da ricordare la versione seventies di un altro grande protagonista del piccolo schermo: il pubblicitario nichilista Don Draper di Mad Men. E ancora, la ricostruzione della New York degli anni ’70, tra strisce di cocaina consumata avidamente, boss declinati all’industria discografica, mazzette e ritmi concitati, ricordano molto la visione filmica del regista di Mean Streets, come se Vinyl ne fosse ideale prolungamento pensato per il piccolo schermo, senza trovarne una chiave interpretativa inedita.

Già confermata la produzione della seconda stagione, Vinyl, risposta HBO al barocco Empire targato Fox, colpisce per la maniacale attenzione al dettaglio che dalla scenografia passa ai costumi fino ai riferimenti alla scena musicale di quegli anni, da Iggy Pop a David Bowie, facendo della colonna sonora un altro importante protagonista, grazie all’inserimento di brani trascinanti come Mr Pitiful di Otis Redding o Summertime Blues dei Blue Cheer in passaggi narrativi strategici. E chissà se i nove episodi restanti che compongono questo primo capitolo saranno in grado di trovare un giusto equilibrio tra forma e contenuto, riuscendo a dosare tutti gli strumenti che servono per creare la hit perfetta, quella che ti fa venire voglia di rimettere dall’inizio la puntina del giradischi sulla superficie laccata del vinile.