Meno di 2,5 euro l’ora e dodici ore di lavoro al giorno. È a queste condizioni che in Italia lavorano 400mila persone, per l’80% straniere, sfruttate dal caporalato. A descrivere la situazione è uno studio di The European House-Ambrosetti su dati Flai Cgil relativi al 2015, presentato a un convegno dell’Associazione italiana delle agenzie per il lavoro. Gli oltre 80 distretti agricoli italiani in cui si pratica il caporalato vedono in 33 casi condizioni di lavoro “indecenti” e in 22 casi sono caratterizzati da “grave sfruttamento”. Ciliegina sulla torta, questa tipologia di lavoro nero sottrae alle casse dello Stato circa 600 milioni di euro ogni anno.
Alla paga di chi lavora sotto caporali, pari alla metà di quanto stabilito dai contratti nazionali, inoltre, devono essere sottratti i costi del trasporto, circa 5 euro, l’acquisto di acqua e cibo, l’affitto degli alloggi e se necessario i medicinali. Infatti il 74% lavoratori impiegati sotto i caporali è malato e presenta disturbi che all’inizio della stagionalità non si erano manifestati. Le malattie riscontrate sono per lo più curabili con una semplice terapia antibiotica ma si cronicizzano in assenza di un medico a cui rivolgersi e di soldi per l’acquisto delle medicine.
Ad aggravare la situazione contribuisce poi il sovraccarico di lavoro, l’esposizione alle intemperie, l’assenza di accesso all’acqua corrente, che riguarda il 64% dei lavoratori, e ai servizi igienici, che riguarda il 62%. Solo nell’estate 2015 lo studio stima che le vittime del caporalato sono state almeno dieci.