Non si ferma il periodo nero della principale azienda di costruzione del Sud Italia, capace di fatturare 380 milioni di euro e dare lavoro a 1.500 dipendenti. La sezione misure di prevenzione del tribunale di Catania, infatti, ha ordinato la nomina di un amministratore giudiziario e il relativo sequestro delle azioni delle tre società che compongono il gruppo
Dopo le tangenti, ecco l’accusa d’infiltrazione mafiosa. Non si ferma il periodo nero della Tecnis, la principale azienda di costruzione del Sud Italia, capace di fatturare 380 milioni di euro e dare lavoro a 1.500 dipendenti. La sezione misure di prevenzione del tribunale di Catania, infatti, ha ordinato la nomina di un amministratore giudiziario e il relativo sequestro delle azioni delle tre società che compongono il gruppo Tecnis (Artemis spa, Cogip holding e Tecnis spa): un’operazione da un miliardo e mezzo di euro.
A chiedere il sequestro dell’importante azienda era stata la procura di Catania, dopo che una lunga indagine del Ros dei carabinieri aveva documentato “l’asservimento del gruppo imprenditoriale alla cosca mafiosa di Catania alla quale sono state garantite ingenti risorse economiche ed è stata consentita l’infiltrazione del redditizio settore degli appalti pubblici”. Il sequestro delle quote azionarie arriva tre mesi dopo l’interdittiva antimafia emessa dal prefetto catanese per la stessa società. A quel punto il consiglio d’amministrazione aveva cercato di salvare il salvabile, nominando un ex direttore della Dia al vertice del collegio di vigilanza, ma quella mossa non è evidentemente bastata per evitare il sequestro.
Una botta pesantissima per la Tecnis, che già ad ottobre era finita al centro dell’indagine della procura di Roma sulle tangenti per gli appalti dell’Anas. In quel caso Francesco Domenico Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice, cioè i due proprietari di Tecnis, erano finiti ai domiciliari. Un arresto che aveva fatto parecchio rumore, dato che in passato i due imprenditori avevano utilizzato a più riprese la bandiera della legalità per darsi un tono nella Sicilia dell’antimafia. Serate in onore del giornalista Pippo Fava, coraggiose denunce contro la ‘Ndrangheta e interviste in cui si pontificava sul presunto nuovo corso dell’imprenditoria in Sicilia. “La legalità per un imprenditore è responsabilità sociale e dovere morale. Io non sono solo perché ormai da un decennio gli imprenditore siciliani hanno avviato un processo di rinnovamento che non è più possibile fermare”, diceva Costanzo, ex assessore al comune di Catania negli anni ’90, che aveva poi seguito Ivan Lo Bello e Antonello Montante nella scalata a Confindustria sotto il vessillo dell’antimafia.
“Basta piangersi addosso e proiettare analisi o stime poco attendibili: il Sud ha le potenzialità di ripartire soprattutto grazie ai giovani, alle loro idee”, pontificava in un’altra occasione lo stesso imprenditore, con un intervento dalle pagine del Foglio, nell’agosto scorso. Parole spazzate via pochi mesi dopo, demolite dall’indagine per tangenti negli appalti Anas e dall’ultima clamorosa decisione del tribunale etneo, che ha sequestrato le azioni Tecnis con il bollo infamante delle infiltrazioni mafiose. Nel frattempo l’azienda è allo sbaraglio: i dipendenti non ricevono lo stipendio da mesi e i lavori sono fermi in cantieri importanti come quello per il passante ferroviario di Palermo. E adesso il comune siciliano ha chiesto a Rete ferroviaria italiana di sciogliere il contratto con l’azienda, che fino a pochi mesi fa era sinonimo di successo, legalità e antimafia.
“Si tratta di aziende che si proclamavano paladini dell’antimafia ma la realtà dei fatti ha determinato un loro coinvolgimento. Il provvedimento assunto è aderente alla necessità che abbiamo di dare un’azione di contrasto forte a questo demone dal volto d’angelo, perché così si presenta, per preservare la società civile”, è l’analisi il comandante del Ros Giuseppe Governale. Secondo l’indagine dell’Arma, tutte le imprese della famiglia Costanzo hanno pagato la “messa a posto” a Cosa nostra catanese a partire dagli anni ’90 fino al febbraio del 2011. In un primo momento, l’azienda aveva denunciato le richieste estorsive, ma nel 1990 iniziò a corrispondere una cifra fissa alla cosca etnea, poi aumentata negli anni successivi. Nel 2005, sempre secondo l’inchiesta del Ros, il boss di Barcellona Pozzo di Gotto Carmelo Bisognano chiese all’azienda dei Costanzo il pagamento di 800 mila euro, e cioè il 2 percento dell’appalto per la galleria Scianina in provincia di Messina: alla fine, durante un incontro in cui era presente anche Angelo Santapaola, si sarebbe trovato l’accordo per un pagamento da 5 mila euro al mese, interrotto nel 2007, dopo il furto nel cantiere della società etnea. Nell’atto d’accusa degli investigatori compaiono anche i rapporti del colosso delle infrastrutture con Cosa nostra palermitana: come quando Salvatore Lo Piccolo, boss di San Lorenzo, aveva chiesto a Vincenzo Aiello di agganciare la Tecnis, che si era appena aggiudicata l’appalto per una parte dei lavori della metropolitana di Palermo. Lo stesso appalto che ad oggi è fermo, mentre appena tre anni fa Costanzo guadagnava notorietà dopo aver denunciato e fatto arrestare cinque esponenti della ‘Ndrangheta che avevano chiesto la “messa a posto” in un cantiere della sua società.