Se le attuali condizioni di mercato dovessero persistere, già nel 2016 potrebbero mancare all'appello circa 150 milioni di cedole provenienti dall'Eni. Con un impatto diretto sulla formazione dell'utile della Cdp che gestisce oltre 250 miliardi di risparmi postali
Alla Cassa Depositi e Prestiti si respira un’aria pesante. Il crollo del prezzo del petrolio rischia di rimettere in discussione le stime di lungo periodo appena delineate dai vertici del gestore del risparmio postale degli italiani. E se le attuali condizioni di mercato dovessero persistere, già nel 2016 potrebbero mancare all’appello circa 150 milioni di cedole provenienti dall’Eni. Con un impatto diretto sulla formazione dell’utile della Cassa che gestisce oltre 250 miliardi di risparmi postali. Secondo le stime presentate al cda del 17 dicembre, l’utile di Cdp nel 2016 dovrebbe raggiungere quota 933 milioni grazie anche ai dividendi attesi (1,4 miliardi) delle partecipate Eni, Terna, Snam e Fincantieri. Tuttavia, se il cane a sei zampe dovesse staccare una cedola pari a quella del 2015 (80 centesimi per azione), l’obiettivo sarebbe inevitabilmente mancato. Anche perché difficilmente Terna, Fincantieri e Snam potrebbero compensare la flessione del contributo di Eni che pesa per il 58% del monte dividendi complessivo di Cdp.
Nulla esclude inoltre che il gruppo energetico, come già accaduto lo scorso anno, possa ridurre ancora la cedola destinata ai soci. “Eni ha dichiarato che 0,8 euro per azione rappresenta un floor per la società”, spiegano tuttavia fonti vicine alla Cassa precisando poi che “il consensus (le attese, ndr) sul dividendo Eni è attualmente allineato agli 0,80 euro per azione”. Detta in altri termini, nonostante le difficoltà, il cane a sei zampe non dovrebbe scendere sotto il livello di dividendi del 2015 assicurando alla Cdp oltre 740 milioni, cifra comunque inferiore alle attese dei vertici della Cassa.
Ma come farà il gruppo guidato da Claudio De Scalzi a tener fede alle promesse fatte ai soci nell’attuale scenario di mercato? Oltre che sui risultati di gestione, di certo l’Eni potrà contare sulla riorganizzazione in corso che sta generando incassi straordinari grazie ad un piano di cessioni da 11 miliardi di cui 3,7 già realizzati. L’ultima dismissione, in ordine temporale, è quella di una quota consistente di Saipem, finita nelle mani del Fondo strategico italiano, a sua volta di proprietà della Cassa, con un’operazione disastrosa per l’azienda pubblica. La prossima mossa sarà invece la cessione del polo chimico Versalis che fa gola al piccolo fondo statunitense Sk, disposto a sborsare 1,2 miliardi nell’ambito di un’operazione di cui tira le fila Rothschild. La banca, cioè che, a giugno 2014, ha ingaggiato alla vicepresidenza l’ex numero uno dell’Eni, Paolo Scaroni.
Se la cessione di Versalis venisse chiusa nel corso del 2016, l’Eni intascherebbe insomma una bella cifra che contribuirebbe a formare il gruzzolo necessario ad assicurare le ricche cedole della Cdp. E quindi, a suon di dividendi, potrebbe dare man forte anche al tandem Gallia-Costamagna che, a sua volta, stacca dividendi al Tesoro e alle fondazioni bancarie seguendo un circuito alimentato dalla mano pubblica grazie ai risparmi postali degli italiani.
In questo scenario, non resta che chiedersi se le cedole dell’Eni basteranno a mantenere inalterato il profilo della Cdp che si appresta anche ad investire nelle acciaierie Ilva. A giudicare dalle stime presentate nel cda di dicembre, la società è destinata progressivamente a cambiare volto: nel giro di quattro anni, il management ha infatti previsto una flessione del risparmio postale (da 241 miliardi stimati nel 2016 a 216 miliardi del 2020), un aumento delle emissioni obbligazionarie (da 18 a 42,7 miliardi) e un calo della liquidità sul conto di tesoreria (da 139 a 104 miliardi). Uno scenario che testimonia, come, nonostante l’Eni, il futuro della Cassa e dei risparmiatori postali italiani rischia di essere meno opulento.