Gli Stati Uniti sono nel bel mezzo di una rivoluzione filantropica, scriveva alcune settimane fa Bill George sull’Huffington Post. Il numero dei miliardari che dall’inizio del millennio hanno deciso di dare via in beneficenza una parte sostanziale delle loro immani ricchezze è andato progressivamente aumentando. Tutto è iniziato quindici anni fa, quando Bill Gates e la moglie Melinda decisero di creare una fondazione e di firmarla con il loro nome e cognome. Trentanove miliardi di dollari spesi in quindici anni per allievare le forme di povertà estrema, eradicare le malattie più volente dai paesi più poveri e fare un investimento globale in istruzione. Nel 2006 si aggiunge anche il secondo uomo più ricco d’America e del mondo, Warren Buffett, che oltre ad impegnarsi a donare una buona parte della sua ricchezza, circa 33 miliardi di dollari, alla Bill e Melinda Gates Foundation, crea un club di miliardari, che negli anni diventano più di centoquaranta, disposti a privarsi del 50 per cento dei soldi accumulati per scopi benefici.
Lo scorso anno si unisce a questa folta schiera di ricchi filantropi anche Mark Zuckerberg. In una lettera aperta il fondatore di Facebook spiega che si impegna a redistribuire, nel corso degli anni a venire, il 99 per cento del valore delle sue azioni del celebre social network. Tutto ciò per regalare alla figlia appena nata un mondo più giusto. Per finire, Bill Gates, Mark Zuckerberg, il patron della Virgin, Richard Branson, e altri loro amici, hanno da poco creato la Breakthrough Energy Coalition, un gruppo di investimento che si propone di rivoluzionare il genere umano liberandolo dal giogo delle tecnologie inquinanti.
Nessuno nella storia dell’umanità ha mai donato tanto quanto i coniugi Gates. Nicholas Kristof calcolava in maniera approssimativa sul New York Times che da quando esiste la Bill and Melinda Gates Foundation circa 33 milioni di bambini sono stati slavati da una morte prematura. Ovviamente non è tutto merito dei coniugi Gates, ma il loro contributo è determinante, più di quello di interi paesi. Ad esempio, la loro fondazione contribuisce da sola all’11 per cento del bilancio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, quattordici volte in più di quello che dà il governo inglese. E in campo agricolo è la quinta finanziatrice al mondo di programmi di aiuto bilaterali, preceduta solo da Germania, Norvegia, Stati Uniti e Giappone.
Sono numeri talmente grandi da far passare in secondo piano nel dibattito pubblico anche le polemiche su monopoli e tassazione che la Microsoft si trascina dietro da anni. E anche i più polemici, come una Ong inglese che ha da poco accusato la fondazione di avanzare gli interessi delle multinazionali nei Paesi più poveri e aprire la strada a politiche neoliberiste, non mancano di notare i grandi effetti positivi di un simile flusso di beneficenza.
C’è una questione però che diventa sempre più stringente a mano a mano che la “rivoluzione filantropica” si allarga. Salvare milioni di vite è ovviamente lodevole. Ma è accettabile che ci sia una coppia di coniugi con così tanti soldi da essere in grado di farlo? E soprattutto così potente da poter decidere a chi concedere l’opportunità di sopravvivere e a chi no? Melinda Gates ha raccontato che lei e il marito discutono spesso delle strategie della fondazione nel letto, prima di addormentarsi. In un articolo apparso sul settimanale indiano Outlook, e ripubblicato in italiano alcune settimane fa dall’Internazionale, la scrittrice indiana Arundhati Roy si domandava: “Con tutti quei soldi in un’unica stanza da letto-sala riunioni, come fanno Bill e Melinda a dormire la notte? […] Pur essendo una piccola percentuale, sono miliardi, e sono sufficienti a decidere la priorità del mondo, a comprare le politiche dei governi, a determinare i programmi universitari, a finanziare ong e attivisti […] Quei soldi gli danno il potere di plasmare il mondo come vogliono”.
E in effetti è così. I coniugi Gates controllano una quota talmente ampia della ricchezza esistente che dalle decisioni che prendono chiacchierando, prima di addormentarsi, dipende il destino di milioni di esseri umani. Aumentiamo l’investimento contro la malaria? I fondi per ricerca sull’Hiv hanno la priorità rispetto ai casi di malnutrizione? E cosa facciamo con le vittime della poliomielite? Spostiamo qualche dollaro da questo Paese a quello?
Ovviamente sono tutte cose più che lodevoli, al punto che viene da dirsi “magari fossero tutti così i miliardari!”. Ma l’aspetto tragico di questa mega filantropia è che mette in evidenza l’enorme potere discrezionale che due coniugi hanno su una fascia molto larga di esseri umani. Tanto che risulta naturale chiedersi se in una società libera tutto ciò sia accettabile. La Breakthrough Energy Coalition è l’ultimo esempio. Il Pianeta sicuramente ha bisogno di “una nuova rivoluzione economica” che lo conduca in una nuova era di energia pulita. Ma è giusto che sia un piccolo gruppetto di persone a proporla, finanziarla, impostarla e sopraintenderla?