Fanalini di coda sono Adam McKay, celebre per aver diretto i due capitoli del film demenziale, parodia del mondo del giornalismo, Anchorman con Will Ferrell, e che in The Big Short si diverte tra materiale d’archivio, ralenti, e dondolio dell’obiettivo a mettere in ridicolo vent’anni di speculazioni in borsa; e Lenny Abrahamson, regista dei discreti Frank e Garage, che in Room si rinchiude per 45 minuti, senza emozionare granché, con la sua macchina da presa tra le quattro pareti di un capanno con finestra solo un lucernaio, dove vivono in isolamento mamma e figlia, le due protagoniste del film.
Nulla di eccezionale o memorabile che meriti gli annali della regia per ottenere un Oscar. Poi se Abrahamson o McKey vincessero a scapito di Iñarritu, o Miller, non saremmo di certo di fronte al reato di lesa maestà di cui si macchiarono nel 1980 Robert Benton che con Kramer contro Kramer rubò la statuetta al Francis Ford Coppola regista di Apocalypse Now, o ancora nel ‘73 Bob Fosse che con Cabaret scippò ancora il Coppola regista de Il padrino.