Se c’era una cosa odiata dal cardinale Jorge Mario Bergoglio era la Curia romana. Odiata può sembrare un termine troppo forte, eppure per l’allora arcivescovo di Buenos Aires essa era sinonimo di centralismo, a scapito delle periferie della Chiesa cattolica dove batte davvero il cuore pulsante del cattolicesimo, ma soprattutto di potere e mondanità. Una Curia, per Bergoglio divenuto Francesco, “ultima corte d’Europa”, affetta da almeno “15 malattie”, come lo stesso Papa ha impietosamente e pubblicamente diagnosticato. Alla tv messicana Televisa Bergoglio ha raccontato che quando veniva a Roma da cardinale “l’ambiente dei pettegolezzi non mi piaceva. Perciò venivo e me ne andavo subito. Benedetto XVI iniziò il pontificato con una messa la mattina e nel pomeriggio io ero già sull’aereo di ritorno. Ora non mi dispiace. Qui c’è gente molto buona. Il fatto di vivere qui mi aiuta molto”.
Nel documento programmatico del pontificato, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, Francesco ha scritto: “Resta chiaro che Gesù Cristo non ci vuole come principi che guardano in modo sprezzante, ma come uomini e donne del popolo. Questa non è l’opinione di un Papa né un’opzione pastorale tra altre possibili; sono indicazioni della parola di Dio così chiare, dirette ed evidenti che non hanno bisogno di interpretazioni che toglierebbero a esse forza interpellante. Viviamole ‘sine glossa’, – è l’invito del Papa – senza commenti. In tal modo sperimenteremo la gioia missionaria di condividere la vita con il popolo fedele a Dio cercando di accendere il fuoco nel cuore del mondo”.
Una nuova visione del pontificato oggetto dell’analisi degli storici della Chiesa Anna Carfora e Sergio Tanzarella nel volume Il cristiano tra potere e mondanità. 15 malattie secondo Papa Francesco, edito da Il pozzo di giacobbe. “Occorre – scrivono i due studiosi commentando il programma di rinnovamento di Bergoglio – scendere dalla condizione di superiorità che rischia di non farci sentire umani tra gli umani, scendere per vedere come vedono gli altri il mondo; solo scendendo possiamo incontrare gli altri negli occhi. Ma a questa discesa nella condizione comune della umanità che è rimasta sulla terra, che non appartiene ai vertici della società e del mondo, che non possiede una opzione preferenziale per il cielo, che non assiste mangiando pasticcini dalle terrazze alle messe di beatificazione, che non è socia del ‘Circolo della caccia’ o del ‘Nuovo circolo degli scacchi’, deve seguire l’andare incontro rompendo ogni muro e barriera, ogni distanza e giustificazione di distanza, ogni codice di separatezza”.
Ma, come sottolineano ancora i due studiosi e come ha spiegato il Papa numerose volte, più con i suoi eloquenti gesti di carità e accoglienza che con le parole, “andare incontro significa anche toccare, toccare ‘la carne sofferente degli altri’ e non mantenerci ‘a distanza dal nodo del dramma umano’, imparare ad abbracciare le persone”. La terapia che Francesco propone alla Curia e prima ancora a tutta la sua Chiesa, spiegano Carfora e Tanzarella, “è imparare a essere più umani, superando le tentazioni del potere come dominio e la sua divinizzazione e sacralizzazione, le lusinghe di una mondanità spirituale fondata sull’effimero e sul successo camuffati da esigenze ‘di risultati pastorali’, i falsi misticismi che mettono al primo posto le ritualità rispetto al primato della persona e al suo ascolto”.
Prevenire, dunque, prima che curare le malattie di una Curia romana che già San Francesco, nel Duecento, trovò arroccata sui due mali principali che da sempre sporcano il volto della Chiesa: avarizia e lussuria. Ovvero soldi e sesso, dove gli scandali finanziari e la piaga abominevole della pedofilia che anche il cattolicesimo contemporaneo purtroppo conosce troppo bene sono eredi della storia di un’istituzione lunga più di duemila anni che non è mai riuscita a vincere la lotta contro i vizi capitali. Combattimento che non è detto abbia mai voluto seriamente intraprendere. Almeno fino all’arrivo di Francesco sul trono di Pietro.