Si divertono come pazzi, eppure lo spettacolo che danno in queste ore gli ex presidenti di Confindustria – anzi, i past president, come zufola Luca Cordero di Montezemolo – dipinge perfettamente il declino. Protagonista assoluta e simbolo della squallida contesa è Emma Marcegaglia, signora di Mantova dalle qualità imprenditoriali così misteriose che Matteo Renzi, un vero rabdomante, l’ha voluta alla presidenza dell’Eni. Quattro anni fa Emma impose Giorgio Squinzi come suo successore alla presidenza di Confindustria, dove era stata imposta dal suo predecessore Montezemolo, il quale aveva poi rotto con l’ex pupilla e sponsorizzato senza fortuna Alberto Bombassei.
Si divertono come pazzi in una partita che niente ha a che fare con il futuro dell’industria italiana, della quale i protagonisti di questo gioco da salotto sanno poco. Marcegaglia, imprenditrice per modo di dire, appoggia per la successione a Squinzi il salernitano Vincenzo Boccia, pura casta confindustriale. Luigi Abete, altro ex presidente, altro professionista dei corridoi confindustriali, appoggia Aurelio Regina, imprenditore per modo di dire grazie a una partecipazione azionaria nel Sigaro Toscano.
Questo variopinto intreccio di lobbisti interessati più che altro alla presidenza dell’Università Luiss e a quella del Sole 24 Ore, sta orchestrando una malinconica macchina del fango a danno degli altri due candidati, che hanno il difetto di essere veri imprenditori. Il bolognese Alberto Vacchi, oltre un miliardo di fatturato, è accusato nientemeno che di amicizia con il leader Fiom Maurizio Landini.
È accusato al contrario di essere troppo falco il bresciano Marco Bonometti, 700 milioni di fatturato. Dicono di lui – che pure vanta una condanna per evasione fiscale – che non sa parlare in pubblico. Ma di certificati penali in Confindustria non si parla, per educazione: quasi tutte le aziende aderenti hanno i loro peccati, a cominciare da quella della Marcegaglia. Che però si giudica e si assolve, e continua a tramare come se Confindustria fosse sua.
Da il Fatto Economico, 24 febbraio 2016