Centri realizzati in pizzerie o depositi abbandonati con due sole finestre, ospiti senza tessera sanitaria curati solo con l'Oki. Nel 2015, i ricercatori di "LasciateCIEntrare" hanno visitato sette Cara, sette Cie; due Cpsa, sei centri informali, quattro Sprar e cinquanta Cas in diverse regioni d’Italia, soprattutto al Sud. Le storie fanno rabbrividire
La pizza da “Mario” a Campagna, in provincia di Salerno, è solo un ricordo. Oggi al posto dei tavoli e delle sedie ci sono i letti dei migranti: “Cinque o sei persone per stanza, distribuiti in letti a castello e altri vicinissimi tra loro a causa dell’insufficienza dello spazio”. Da oltre sei mesi aspettano la convocazione della Commissione territoriale per il riconoscimento dello stato di rifugiato.
Il caso di questo Cas, è solo uno dei cinquanta visitati dai promotori di LasciateCIEntrare. Tra il mese di gennaio 2015 e dicembre, i ricercatori hanno messo piede in sette Cara; sette Cie; due Cpsa; sei centri informali; quattro Sprar oltre i cinquanta Cas in diverse regioni d’Italia, soprattutto al Sud. Le storie fanno rabbrividire.
A Feroleto (Reggio Calabria) il centro di accoglienza “Ahmed Moammud” è composto da due palazzoni che si affacciano sulla superstrada. Dentro, il 20 febbraio scorso, Yasmine Accardo, Emilia Corea e Fofana Mouctar registrano 300 uomini e alcuni minori non accompagnati: “Nessuno dei ragazzi con i quali abbiamo parlato possiede la tessera sanitaria, nessuno di loro è iscritto al servizio sanitario nazionale. Nessuno di loro sa che per usufruire dei farmaci di cui avrebbero bisogno basterebbe recarsi dal medico e farseli prescrivere. Qui la panacea di tutti i mali è l’Oki che i migranti ricevono dagli operatori della struttura. I ragazzi riferiscono che gli operatori sono tre in tutto. Nessun mediatore linguistico culturale. Il pocket- money, dicono, fino a qualche tempo fa si aggirava intorno ai 60 euro al mese, in seguito sono stati loro erogati 50 euro al mese ma da tre mesi non lo ricevono. Il tutto è ridotto al minimo: sedie e letti consunti, muri sporchi e ingialliti, cibo scadente”.
Un’altra tappa della “mala accoglienza” secondo la “fotografia” fatta dai ricercatori è il Cas di Dugenta a Sant’Agata dei Goti, gestito dalla cooperativa “Maleventum”. Lì si presentano il 10 agosto scorso: “Un casolare vecchio e pieno di buchi. Il piano terra era in passato un deposito o qualcosa di simile. Vi sono due sole finestre poste in alto ed una porta a vetri. Per dieci persone vi sono due armadi che evidentemente non riescono a contenere gli indumenti dei migranti che si trovano in scatoloni o appesi alle barre dei letti. C’è un bagno per dieci persone che qualcuno viene a pulire una volta alla settimana. Da quando sono qui non hanno mai avuto un cambio di lenzuola”.
Non cambia la situazione al Cas hotel “Fluminia”, visitato il 9 ottobre, gestito da Family srl che unitamente alla New Family Società Cooperativa Sociale Onlus, è una delle maggiori protagoniste nel panorama dell’accoglienza in Campania. Secondo il dossier, “un numero non inferiore a 1500 migranti viene accolto in strutture a loro riferibili”. Il quadro è desolante: “Quando ci vedono arrivare – raccontano Gennaro Avallone, Luca Leva, Giulia Ambrosio e Yasmine Accardo – la prima cosa che ci chiedono è se siamo lì per offrire lavoro, perché funziona così. Chi ha bisogno di lavoratori va a cercare lì. Quando capiscono che non siamo datori di lavoro nero si zittiscono”.