Gli ermellini della VI sezione penale hanno quindi cassato il verdetto emesso lo scorso 2 ottobre dal gup di Milano, Alessandra Clementi. Il sostituto procuratore generale della Cassazione Paolo Canevelli aveva chiesto il "rigetto" del ricorso della Procura di Milano contro il non luogo a procedere e quindi di confermare il proscioglimento. La società: "Prendiamo atto, ma siamo totalmente estranei". Ma la nuova udienza preliminare rischia di creare un doppione
Il gup si era pronunciato per il proscioglimento. Ma la Cassazione, a sorpresa, ha annullato il non luogo a procedere. Imputati erano l’ex amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni e la stessa società. Cuore del processo una presunta tangente da 198 milioni di euro che sarebbe stata pagata dal 2007 al 2010 da Saipem, controllata Eni, a pubblici ufficiali algerini, in cambio di appalti petroliferi nel Paese nordafricano. L’accusa era corruzione internazionale e frode fiscale. Gli ermellini della VI sezione penale hanno quindi cassato il verdetto emesso lo scorso 2 ottobre dal gup di Milano, Alessandra Clementi.Il sostituto procuratore generale della Cassazione Paolo Canevelli però aveva chiesto il “rigetto” del ricorso della Procura di Milano contro il non luogo a procedere e quindi di confermare il proscioglimento.
In seguito alla decisione, però, il processo rischia di fermarsi per alcuni mesi, si ipotizza negli ambienti giudiziari milanesi. Per gli imputati, dopo le motivazioni della suprema Corte e la trasmissione degli atti a Milano, l’udienza preliminare dovrà ricominciare da zero. Con una nuova udienza preliminare si verrebbe a creare un doppione del procedimento già in fase di dibattimento. Pertanto, al Palazzo di Giustizia di Milano, c’è chi ipotizza che il processo in corso davanti al collegio presieduto da Marco Tremolada possa fermarsi per qualche mese in attesa dell’esito della nuova udienza preliminare.
I pm di Milano: “Corruzione internazionale”
La procura di Milano aveva chiesto il rinvio a giudizio per l’ex numero uno di Eni Paolo Scaroni e di altre sette manager del gruppo petrolifero nel febbraio del 2015. L’ipotesi dei pm consiste, appunto, nel presunto versamento di denaro da parte della controllata di Eni all’allora ministro dell’energia dell’Algeria Chekib Khelil e al suo entourage per ottenere sette appalti petroliferi del valore di “oltre 8 miliardi di euro”.
L’inchiesta, coordinata dai pm di Milano Fabio De Pasquale, Isidoro Palma e Giordano Baggio, riguardava in particolare l’ex direttore operativo di Saipem, Pietro Varone (arrestato nell’estate del 2013), l’ex presidente di Saipem Algeria Tullio Orsi, l’ex direttore finanziario prima di Saipem e poi di Eni, Alessandro Bernini, l’ex presidente ed ex ad di Saipem, Pietro Tali, l’ex responsabile Eni per il Nord-Africa Antonio Vella, e poi Farid Noureddine Bedjaoui, il fiduciario di Khelil ritenuto l’intermediario tra i pubblici ufficiali in Algeria e i manager della controllata di Eni, con cui secondo Varone Scaroni avrebbe avuto due incontri. E, infine, Samyr Ouraied, uomo di fiducia dello stesso Bedjaoui.
Secondo le indagini dei pm di Milano Fabio De Pasquale, Giordano Baggio e Sergio Spadaro, l’affare riguardava i lavori del progetto Medgaz e del progetto Mle insieme all’ente statale algerino Sonatrach. Secondo l’ipotesi accusatoria Eni e Saipem avrebbero pagato a una società di Hong Kong (Pearl Partners Limited) che faceva a capo all’intermediario Farid Noureddine Bedjaoui, il denaro da distribuire a faccendieri, esponenti del governo algerino e manager Sonatrach. Per i pubblici ministeri l’allora ad aveva partecipato almeno a un incontro con Bedjaoui, per far aggiudicare all’Eni e alle sue società le commesse miliardarie. Varone aveva raccontato ai pm che Scaroni aveva incontrato per due volte Bedjaoui per far aggiudicare al gruppo e alle sue società le commesse miliardarie. “Ho la certezza di un incontro a Parigi e la certezza che ce ne è stato un altro anche a Milano”. Il giudice per l’udienza preliminare però aveva prosciolto l’ex numero uno, la società e anche Antonio Vella, ex responsabile della società per l’area del Nord Africa, scrivendo che i sospetti non erano suffragati dalle prove.
Le motivazione del proscioglimento
“Nonostante ci siano “elementi di sospetto” mancano le prove della “consapevolezza” e dello “sfruttamento a proprio vantaggio da parte di Scaroni di un sistema corruttivo” in Algeria aveva scritto in motivazione il giudice. “Vi sono elementi – aveva argomentato il giudice – per sostenere la sussistenza di un accordo corruttivo” tra l’ex direttore operativo di Saipem Pietro Varone, l’ex presidente e ad Pietro Tali (entrambi finiti processo) e l’allora ministro algerino Chekib Khelil “per l’aggiudicazione degli appalti”. Mentre gli elementi forniti dall’accusa “non sono sufficienti per ritenere provata e provabile una qualche responsabilità” di Eni. “L’assenza di ogni prova circa l’egemonia di Scaroni su Saipem mina fin dall’inizio la teoria accusatoria dell’accordo corruttivo unico”. Il giudice aveva trattato anche gli incontri informali in “sedi non istituzionali e a volte anche in stanze di albergo” di lusso in città come Parigi, Madrid, Vienna, Roma e Milano, tra Scaroni e i manager di Saiperm con il ministro dell’Energia algerino o con il suo uomo di fiducia Farid Bedjaoui (anche lui a giudizio): ma aveva ritenuto che non avessero alcuna “connotazione illecita”, “potrebbero essere paragonati a un’attività di lobbismo, attività di pressione ritenuta lecita in diversi paesi”. In più erano “privi di quell’alone di mistero dal quale dedurre, per le modalita’, i
tempi e i luoghi, la sussistenza di un reato”, come hanno sostenuto i pm, in quanto “programmati in “agenda”. Per il giudice per la
posizione di Scaroni c’erano “elementi di sospetto” ma, in assenza di prove, i sospetti “rimangono tali”. La Cassazione però ha annullato questo verdetto e le motivazioni spiegheranno il perché.
Eni: “Prendiamo atto, totale estraneità”
“Eni prende atto che la Cassazione ha oggi annullato la decisione del del Gup di Milano, che aveva prosciolto l’azienda e i suoi manager in relazione ad asserite condotte corruttive in Algeria”, ma ribadisce si legge in un comunicato”l’estraneità della società e dei propri manager rispetto ai fatti oggetto del procedimento in corso” ricordando che “verifiche svolte da soggetti terzi sulle attività algerine oggetto di indagine e messe a disposizione delle autorità competenti, non hanno evidenziato condotte illecite da parte della società”. Eni “continuerà a fornire la massima collaborazione alla magistratura affinché quanto prima sia fatta chiarezza sulla sua estraneità dalle vicende in questione”.