Fuocoammare è un film da vedere. Non ha pretese moralistiche, non è voyeuristico, non sfrutta la pornografia della sofferenza come troppo spesso si vede fare nei telegiornali in cui il ritmo sincopato imposto alla cronaca, incastrata tra jingle e stacchetti, snatura anche le immagini più drammatiche. Fuocoammare ci mostra la vita di un ragazzino, di un medico, di un pescatore e di altri italiani che vivono a Lampedusa. Vite che non conosciamo, vite di persone normali in una situazione che non ha niente di normale. Andatelo a vedere, portateci i vostri figli, fatelo vedere nelle scuole ai vostri studenti. È ciò che sta succedendo nel nostro paese e abbiamo tutti il dovere di conoscere queste persone.
Non ci sono giudizi in Fuocoammare. Non ci dà una lettura da seguire, ma si limita a mostrare la vita quotidiana e lo sbarco dei migranti con gli occhi di chi vive a Lampedusa. Non racconta direttamente la storia dei migranti, ma si concentra su quella degli italiani che si impegnano per salvare delle vite umane, o che cercano di avere una vita normale nonostante tutto.
Il film di Gianfranco Rosi premiato a Berlino con l’Orso d’Oro ci fa vivere un’ora e trequarti sull’isola di Lampedusa. Nella sua natura selvaggia, nelle sue strade polverose, nella sua lingua aspra, in cui il mare è il vero padrone. Il mare che allontana dal mondo, che nutre l’isola con la pesca, che è la speranza, ma che porta anche la morte.
Troppo spesso si sente parlare di migrazione come si trattasse di un tema strettamente politico, su cui strappare applausi o consensi. Si parla di numeri, di statistiche, non si parla mai di persone. Dei migranti che arrivano Rosi ci racconta poco, ma ci mostra i volti, ed è sufficiente per riconoscersi in loro.
In una scena Samuele, il ragazzino protagonista del film, che tira con la fionda ed ha timore del mare, va dall’oculista che gli diagnostica “l’occhio pigro”. “Il tuo occhio funziona, e potrebbe vedere bene, ma ora non vede perché il tuo cervello è abituato a non usarlo. Dobbiamo obbligare il tuo occhio a vedere”. Samule siamo noi. Dobbiamo tutti obbligare i nostri occhi pigri a vedere.