Dopo la chiusura delle indagini il 20 gennaio di quest’anno, arriva adesso la richiesta del rinvio a giudizio per Piero Messina e Maurizio Zoppi, i due collaboratori de L’Espresso, autori dell’articolo, pubblicato a luglio, sulla presunta intercettazione telefonica tra il governatore siciliano Rosario Crocetta e il suo medico, Matteo Tutino. Fulcro dell’articolo e dell’indagine giudiziaria, una frase pronunciata dal medico, accusato di falso, truffa e peculato, e rivolta a Lucia Borsellino, allora assessore regionale alla Salute: “Lucia Borsellino va fatta fuori. Come il padre”. Un’intercettazione sempre smentita dalla Procura di Palermo, e da altre procure siciliane, che ha indagato i due giornalisti per calunnia e pubblicazione di notizie false ed esagerate.
A ottobre dello scorso anno la Procura, dopo aver riascoltato tutte le intercettazioni contenute nell’inchiesta su Tutino e aver sentito tutti i protagonisti, aveva chiesto il giudizio immediato, rigettato dal gip per “mancanza dell’evidenza della prova”, requisito imposto dalla legge per il rito alternativo. “Dal complesso del materiale probatorio – scriveva il giudice – emerge che tra Messina e il capitano dei Nas Mansueto Cosentino, c’era un’amicizia e che spesso parlavano dell’argomento Tutino e Borsellino”.
Ai pm i giornalisti avevano spiegato di aver appreso la notizia dal capitano dei Nas che a giugno 2014 avrebbe parlato loro della conversazione in questione: “Pochissimi secondi, in verità – dicono i cronisti nella memoria difensiva presentata alla procura – di ciò che sembrava essere un dialogo. Veniva percepito un contesto che sembrava ricondurre proprio alla famosa intercettazione che riguardava l’assessore Borsellino”. In un primo momento però, non avendo altri riscontri, i giornalisti preferirono non scriverla. L’anno dopo, a seguito delle dimissioni dell’assessore Lucia Borsellino, i due ricontattarono Cosentino che avrebbe confermato il senso della frase, consigliando però di cercare ulteriori riscontri. La versione dei due collaboratori è stata smentita sia da Cosentino ai pm dopo i tentativi di riscontrare la notizia di Zoppi e Messina, sia dalla Procura.
Da alcune intercettazioni tra i due cronisti, pubblicate su Il Fatto Quotidiano, emerge un rimpallo di responsabilità tra i collaboratori e il desk romano del settimanale: secondo Messina e Zoppi da Roma il testo sarebbe stato “cambiato in corso di editing” con l’aggiunta di virgolettati. Sempre nella conversazione Messina stesso conferma di non aver ascoltato quella telefonata in prima persona ma di aver comunque ricevuto conferme della sua esistenza: “Io che ci posso fare se non c’è? A me dagli uffici di Lo Voi, non dal dottore Lo Voi, ma da quegli uffici me l’hanno confermata. Parola per parola. E non ero solo’’. Intanto il direttore de l’Espresso, Luigi Vicinanza, continua a difendere il lavoro dei due cronisti e a ribadire la fiducia sua e “della catena di comando del desk redazionale’’ nei loro confronti.
Giustizia & Impunità
Intercettazione Crocetta, chiesto il rinvio a giudizio per i giornalisti de L’Espresso
Dopo la chiusura delle indagini il 20 gennaio di quest'anno, arriva la richiesta di processo per Pero Messina e Maurizio Zoppi autori dell'articolo sulla presunta intercettazione telefonica tra il governatore e il suo medico, Matteo Tutino, in cui quest’ultimo avrebbe detto la frase "Lucia Borsellino va fatta fuori. Come il padre". Un'intercettazione la cui esistenza è stata sempre smentita
Dopo la chiusura delle indagini il 20 gennaio di quest’anno, arriva adesso la richiesta del rinvio a giudizio per Piero Messina e Maurizio Zoppi, i due collaboratori de L’Espresso, autori dell’articolo, pubblicato a luglio, sulla presunta intercettazione telefonica tra il governatore siciliano Rosario Crocetta e il suo medico, Matteo Tutino. Fulcro dell’articolo e dell’indagine giudiziaria, una frase pronunciata dal medico, accusato di falso, truffa e peculato, e rivolta a Lucia Borsellino, allora assessore regionale alla Salute: “Lucia Borsellino va fatta fuori. Come il padre”. Un’intercettazione sempre smentita dalla Procura di Palermo, e da altre procure siciliane, che ha indagato i due giornalisti per calunnia e pubblicazione di notizie false ed esagerate.
A ottobre dello scorso anno la Procura, dopo aver riascoltato tutte le intercettazioni contenute nell’inchiesta su Tutino e aver sentito tutti i protagonisti, aveva chiesto il giudizio immediato, rigettato dal gip per “mancanza dell’evidenza della prova”, requisito imposto dalla legge per il rito alternativo. “Dal complesso del materiale probatorio – scriveva il giudice – emerge che tra Messina e il capitano dei Nas Mansueto Cosentino, c’era un’amicizia e che spesso parlavano dell’argomento Tutino e Borsellino”.
Ai pm i giornalisti avevano spiegato di aver appreso la notizia dal capitano dei Nas che a giugno 2014 avrebbe parlato loro della conversazione in questione: “Pochissimi secondi, in verità – dicono i cronisti nella memoria difensiva presentata alla procura – di ciò che sembrava essere un dialogo. Veniva percepito un contesto che sembrava ricondurre proprio alla famosa intercettazione che riguardava l’assessore Borsellino”. In un primo momento però, non avendo altri riscontri, i giornalisti preferirono non scriverla. L’anno dopo, a seguito delle dimissioni dell’assessore Lucia Borsellino, i due ricontattarono Cosentino che avrebbe confermato il senso della frase, consigliando però di cercare ulteriori riscontri. La versione dei due collaboratori è stata smentita sia da Cosentino ai pm dopo i tentativi di riscontrare la notizia di Zoppi e Messina, sia dalla Procura.
Da alcune intercettazioni tra i due cronisti, pubblicate su Il Fatto Quotidiano, emerge un rimpallo di responsabilità tra i collaboratori e il desk romano del settimanale: secondo Messina e Zoppi da Roma il testo sarebbe stato “cambiato in corso di editing” con l’aggiunta di virgolettati. Sempre nella conversazione Messina stesso conferma di non aver ascoltato quella telefonata in prima persona ma di aver comunque ricevuto conferme della sua esistenza: “Io che ci posso fare se non c’è? A me dagli uffici di Lo Voi, non dal dottore Lo Voi, ma da quegli uffici me l’hanno confermata. Parola per parola. E non ero solo’’. Intanto il direttore de l’Espresso, Luigi Vicinanza, continua a difendere il lavoro dei due cronisti e a ribadire la fiducia sua e “della catena di comando del desk redazionale’’ nei loro confronti.
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Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "È quello che abbiamo chiesto. Ma capire è una parola inutile. Io non capisco niente e chi ci capisce è bravo. Si chiede, si fa e si combatte per ottenere rispetto. Capire no, mi spiace. Magari, capire qualcosa mi piacerebbe". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono se la giornalista potrà avere altre visite da parte dell'ambasciata.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - Nella telefonata di ieri "avrei preferito notizie più rassicuranti da parte sua e invece le domande che ho fatto... glielo ho chiesto io, non me lo stava dicendo, le ho chiesto se ha un cuscino pulito su cui appoggiare la testa e mi ha detto 'mamma, non ho un cuscino, né un materasso'". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "No, dopo ieri nessun'altra telefonata". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, ai cronisti dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni. "Le telefonate non sono frequenti. E' stata la seconda dopo la prima in cui mi ha detto che era stata arrestata, poi c'è stato l'incontro con l'ambasciatrice, ieri è stato proprio un regalo inaspettato. Arrivano così inaspettate" le telefonate "quando vogliono loro. Quindi io sono lì solo ad aspettare".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Questo incontro mi ha fatto bene, mi ha aiutato, avevo bisogno di guardarsi negli occhi, anche tra mamme, su cose di questo genere...". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, lasciando palazzo Chigi dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Cerca di essere un soldato Cecilia, cerco di esserlo io. Però le condizioni carcerarie per una ragazza di 29 anni, che non ha compiuto nulla, devono essere quelle che non la possano segnare per tutta la vita". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
"Poi se pensiamo a giorni o altro... io rispetto i tempi che mi diranno, ma le condizioni devono essere quelle di non segnare una ragazza che è solo un'eccellenza italiana, non lo sono solo il vino e i cotechini". Le hanno detto qualcosa sui tempi? "Qualche cosa - ha risposto -, ma cose molto generiche, su cui adesso certo attendo notizie più precise".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "La prima cosa sono condizioni più dignitose di vita carceraria e poi decisioni importanti e di forza del nostro Paese per ragionare sul rientro in Italia, di cui io non piango, non frigno e non chiedo tempi, perché sono realtà molto particolari". Lo ha detto Elisabetta Vernoni, mamma di Cecilia Sala, dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Adesso, assolutamente, le condizioni carcerarie di mia figlia". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono quali siano le sua maggiori preoccupazioni. "Lì non esistono le celle singole, esistono le celle di detenzione per i detenuti comuni e poi le celle di punizione, diciamo, e lei è in una di queste evidentemente: se uno dorme per terra, fa pensare che sia così...".