I magistrati contabili, nella relazione sull'Inps, lanciano un allarme sulle conseguenze dell'esonero introdotto per favorire le assunzioni a tempo indeterminato: se, come sta già accadendo, prevarranno le trasformazioni di contratti già esistenti, le casse pubbliche dovranno aumentare ulteriormente i trasferimenti all'istituto. Con ricadute sui contribuenti
La Corte dei Conti lancia l’allarme sulle coperture e sull’efficacia degli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato. Se la decontribuzione introdotta dal governo Renzi a partire dal gennaio 2015 continuerà a favorire, come sta avvenendo, soprattutto le trasformazioni di contratti già esistenti, e non “incrementi occupazionali effettivi”, sarà necessario “un ulteriore incremento di trasferimenti dal settore pubblico la cui provvista ricadrebbe sulla fiscalità generale”, rilevano per prima cosa i magistrati contabili nella relazione sull’Inps. La Corte inoltre esprime preoccupazione sulla possibilità che al termine del triennio di sgravi totali previsti per le assunzioni a tempo indeterminato fatte nel 2015 ci sia un aumento delle cessazioni di contratto, cosa che determinerebbe un aumento delle prestazioni a sostegno del reddito come l’indennità di disoccupazione.
I magistrati proseguono avvertendo che già ora l’intervento dello Stato sui conti dell’Inps, che quest’anno chiuderà in rosso di 11,2 miliardi, risulta “sempre fondamentale per il contenimento dello squilibrio della gestione” perché la spesa per le prestazioni continua a superare le entrate. Nel biennio 2013-2014 per esempio “è proseguito l’aumento delle entrate contributive”, passate dai 210 miliardi del 2013 a 211,4 miliardi nel 2014. Ma “la spesa per prestazioni, pur costante nel biennio (303,464 miliardi nel 2013 e 303,401 miliardi nel 2014), è risultata tuttavia superiore al gettito contributivo”.
Nel biennio è proseguito, sottolineano i magistrati contabili “l’andamento negativo della gestione finanziaria che ha chiuso, nel 2013, con un disavanzo di 8,7 miliardi e, nel 2014, con un disavanzo di 7 miliardi, con una progressiva erosione dell’avanzo di amministrazione (che da 53,9 miliardi nel 2012, è passato a 43,9 ed a 35,7 miliardi rispettivamente, nel 2013 e nel 2014)”. Lo stesso vale per il conto economico “che ha chiuso con valori di segno negativo, 12,8 miliardi nel 2013 e 12,5 miliardi nel 2014. Né – sottolinea la Corte dei Conti – i trasferimenti dello Stato (99 miliardi nel 2013 e 98,4 nel 2014), né la ripresa del flusso dei contributi, alimentato dalla gestione privata e in particolare da quella del lavoro autonomo, oltre che dalla gestione dei “parasubordinati“, sono valsi a far conseguire l’equilibrio delle gestioni amministrative”. Il patrimonio netto è raddoppiato tra 2013 e 2014, passando da 9 a 18,4 miliardi per “uno specifico apporto dello Stato di 21,9 miliardi, a copertura del disavanzo dell’ex Inpdap“.