Al di là di scommesse, pronostici e vittorie “annunciate”, per fortuna il cinema è un’arte industriale concepita per rimanere nella memoria e, nei migliori dei casi, per incidere negli immaginari collettivi. Gli otto film designati quest’anno dall’Academy nella categoria principale contemplano opere certamente interessanti ma senza acclamati capolavori, ed anzi, con alcune scelte assai discutibili. Inoltre non comprendono due titoli che avrebbero ben figurato: il magnifico Carol di Todd Haynes e il “chiacchierato” The Hateful Eight di Quentin Tarantino. In quest’ottica, e volendo stilare una classifica sul valore, non c’è dubbio che dall’ultimo ai primi posti volerebbe lo splendido Il ponte delle spie di Spielberg, affiancandosi ai notevoli Revenant e Il caso Spotlight con un plauso di merito all’outsider Room. È questo, infatti, il quartetto di qualità degli Oscar 2016, a cui seguono nell’ordine il solido film di Scott (The Martian), l’originale La Grande Scommessa – The Big Short ed infine, i modesti Brooklyn e Mad Max – Fury Road.
In particolare sul sopravvalutato action di George Miller, acclamato da pubblico e critica all’ultimo Festival di Cannes dove partecipava fuori concorso, va aperto un capitolo a parte. Ancor prima di esser visto, il film godeva di un’aura di culto dovuta alla legacy della saga Mad Max e alla tenacia del 70enne Miller capace alla sua età di metter in piedi un kolossal d’azione di quella portata. Ma al di là del valore tecnico dell’operazione – ogni nomination squisitamente tecnica a suo favore è meritata – quello cinematografico ad alto/ampio respiro si fatica a trovare. Un discorso simile ma per motivi quasi opposti si lega a Brooklyn, un piccolo, classico film che non supera la qualifica di “discreto” e che è interamente sostenuto dal talento della giovane Saoirse Ronan, giustamente candidata come miglior attrice protagonista.