Il regista Premio Oscar fa la sua entreé per ultimo come una diva. E visto che Roman non ama troppo le apparizioni pubbliche, si può dire che è un evento imperdibile per Gstaad, villaggio montanaro ultra-chic del cantone bernese, dove Polanski è di casa. Siamo allo Yacth Club (lo so, suona bizzarro. Come dire l’Hochey Club di AnaCapri) e il gremito parterre è stato convocato da Christine Camerana, nelle vesti di padrona di casa: proiezione in forma privata su invito del film documentario “A Weekend of a Champion“, un omaggio al pilota scozzese di Formula Uno, Jackie Stewart, una due giorni rutilante del Gran Prix di Montecarlo nel 1971. Jackie sta al mondo automobilistico come i Beatles stanno alla musica. “Siamo davanti a una reincarnazione dell’anima del film. Per sottrarlo all’oblio della memoria, alla polvere degli archivi è stato restaurato, tagliato, rimixato e arricchito di un’intervista fra il regista e il pilota quarant’anni dopo”, spiega Andrew Braunsberg, produttore e amico da sempre di Polanski.
Roman è minuto nel fisico, ma la sua presenza è imponente: jeans, stivaletto e giacca blu. Scattante come un ragazzino, ha superato gli 80 anni ma ne dimostra assai meno, lo sguardo è sempre saettante. “Le domande dopo il film”, dice e va a sedersi vicino a Ursula Andress, la più famosa delle James Bond girl. Grace di Monaco, in tailleur Chanel azzurro polvere, impeccabilmente bella, seduta in tribuna d’onore, è solo una comparsa, l’attenzione è tutta su di lui, su Jackie in tuta grigia metallizzata, Helen, la compagna di una vita spericolata, lo tiene per mano, lo accompagna ai box, camminata lenta e, prima che lui si attacchi la cintura di sicurezza, gli alza la visiera del casco e gli dà un bacio. E’ il loro rituale portafortuna.
Roman e Jackie hanno attraversato la cultura della beat generation e, in tempi di globalizzazione che oggi sembra appiattire tutto, fanno sorridere quei pantaloni a zampa, i colletti lunghi e inamidati della camicia, quei capelli lunghi scompigliati dal vento. Perfino le ragazze sono di una bellezza più autentica, niente seni al silicone e labbra a canotto pneumatico. Perfino il pericolo che sta dietro ogni curva sembra più genuino. I suoi fans, gli hippy di allora, sono appollaiati sugli alberi per perdersi una sua accellerata a 300 km all’ora. Seduti al tavolo della prima colazione nella stanza al Hotel de Paris, Jackie si lascia andare con Roman a un pour parler senza freni E’ in mutande e la cosa non sembra imbarazzarlo minimamente.
Quarant’anni dopo, stessa camera con vista (“Solo gli yacht sono sfacciatamente più grandi”, fa notare Roman), stessa tappezzeria, Sir Jackie, questa volta, non è più in mutande. L’angolatura della telecamera di Polanski sul tre volte campione del mondo di Formula Uno (’69, ’71 e ’73) è quella dell’eroe di guerra. Un sopravvissuto. “La Formula Uno era un ‘Blood Spot’ (un luogo di sangue). Ero dislessico, andavo male a scuola, cosa altro potevo fare se non mettermi a correre in macchina?“. Un ragazzo dislessico che non conosce l’alfabeto, ma non gli impedì di diventare anche un campione di tiro a volo (sfiorò la convocazione per le Olimpiadi del ’60). Da allora è rimasto in pista, come testimonial, come proprietario di team, come rappresentante di sponsor. Forte di una intelligenza acuta, lo strumento, crede Roman, che lo mise in salvo prima e l’ha mantenuto al centro della scena sempre.
“Il mio amico Jackie è un eroe. Ha combattuto una lunga battaglia per migliorare la sicurezza dei piloti, in un panorama fumoso quella della Formula Uno che bruciava miliardi e vite umane. Gli incidenti era spettacolari. Quasi nessuno ne usciva vivo da quelle lamiere accartocciate e dalle fiamme divampanti. I piloti erano superuomini”, ricorda Roman. Lo stesso Jackie l’ha scampata più volte, dopo aver visto morire una quantità di amici intimi (“Più di 50”, dice Jackie…), a cominciare da Piers Courage e Jochen Rindt, per finire a Francois Cevert, il suo pupillo, scomparso a Watkins Glenn, in prova proprio nel ’73. Un lutto che ha portato Jackie a dire basta al suo mondo e per sempre. “Eravamo carne da macello. Adesso le regole sono cambiate, è cambiato il mondo. Sì, era solo questione di energia. Da consumare in qualunque modo. Da consumare in fretta”.
@januariapiromal