Che il Fondo monetario internazionale dichiari che “la ripresa globale si è ulteriormente indebolita…” non sorprende, quello che sconcerta un poco però, leggendo le raccomandazioni proposte al G-20, è che non siano ancora state focalizzate le reali cause della crisi!

Eppure i segnali non mancano, si tratta di un fenomeno di sistema: riguarda la produzione di beni e servizi che si è modificata nel tempo, dagli anni ’80 del secolo scorso prodotti “capital intensive” hanno penalizzato la quantità e la qualità del lavoro e concentrato sempre di più la ricchezza, l’effetto è un crollo della domanda interna senza precedenti.

Questo è il “qui ed ora”, per uscire dalla crisi occorre cambiare registro. Negli ultimi decenni sono stati realizzati beni con sempre minore “ricchezza” che, vincolando il consumatore ad una crescente “spesa corrente”, lo hanno impoverito. Da adesso è necessario realizzarne altri che, a fronte di un “investimento” per essere acquisiti, lo affranchino dalla stessa e lo rendano più ricco.

Elon Musk, le fortune ottenute grazie a PayPal le ha investite nel “manifatturiero”, a breve diventerà produttiva la sua Gigafactory nella quale fabbricherà batterie al litio per i sistemi di accumulo elettrico. Musk si propone di assicurare l’autosufficienza energetica delle abitazioni di molta parte del mondo grazie alle rinnovabili. Con Tesla da tempo produce auto: elettriche e ad alte prestazioni. Anche Apple, sembra ormai certo, entrerà nel mondo dell’auto elettrica.

La strada è segnata. Musk la spunterà, avremo case energeticamente indipendenti, auto alimentate da energie rinnovabili che faranno mezzo milione di chilometri, bollette azzerate o ridotte. La questione non è “se” ci arriveremo, ma “quando e come”. La politica deve decidere se assecondare la corrente e innescare la ripresa o se remare contro, nel vano tentativo di salvaguardare interessi consolidati.

Nel primo caso servono: investimenti pubblici in infrastrutture e salvaguardia e valorizzazione del territorio, pubblici e privati: nelle rinnovabili e nel recupero del patrimonio edilizio. Saranno le nuove tecnologie a salvarci ma unite all’industria, alle piccole aziende, al commercio e agli artigiani che dovranno “riqualificare” decine di milioni di case, gli edifici pubblici e le infrastrutture vetuste o inadeguate.

Riguardo gli investimenti pubblici c’è uno scoglio da superare: la mancanza di fiducia reciproca tra i politici delle diverse nazioni, potrebbero essere messi in moto però gli investimenti privati. Tecnicamente occorre ribaltare il mandato della Bce: la priorità deve essere l’occupazione. Occorre poi passare dal Quantitative Easing al “Qualitative Easing”, inteso come acquisto di titoli bancari aventi come sottostante i mutui concessi ai privati per gli scopi di cui sopra. Se le banche fossero autorizzate a emettere i titoli energetici per gli interventi finanziati, potrebbero erogare i mutui a tasso zero o negativo, non è un’utopia, con altre finalità succede in Danimarca (dove sta innescando l’ennesima bolla immobiliare) e in Svizzera. Nel nostro caso non si correrebbero rischi visto che si tratta di somme abbastanza contenute, garantite dallo Stato grazie alla detrazione del 65 % (da rendere strutturale).

Questo non basta però: le famiglie difficilmente investiranno se non viene assicurata la certezza del futuro degli anziani e dei giovani. Non si parli di: “razionalizzare prestazioni di tipo previdenziale”, assimilare a prestazione assistenziale la previdenza, anche se in regime di reversibilità, incrina irrimediabilmente il patto di fiducia tra stato e cittadini che, giustamente, si tengono cari i propri risparmi! La norma, piuttosto, si applichi per la quota delle super pensioni e dei vitalizi politici non supportata da contributi, questa è assistenza, su queste prestazioni nulla in contrario ad applicare l’Isee da domani mattina!

Riguardo i giovani è indubbio come la soluzione sia il reddito di cittadinanza. Questo potrebbe derivare dalla rendita di un apposito fondo vincolato, alimentato con i proventi dei cosiddetti “beni comuni” e sottratto alla gestione del governo!

L’imprenditore americano Peter Barnes propone la “fondazione” come strumento. In questo fondo dovrebbero confluire, rivalutate, le concessioni: minerarie, delle spiagge e delle acque, delle frequenze radio televisive, del patrimonio artistico pubblico, la carbon tax e le sanzioni per i reati ambientali. Diventerebbe strumento di ridistribuzione della ricchezza da parte delle attività “di capitale” che spesso – dice Barnes – “si appropriano gratuitamente o per pochi spiccioli dei beni comuni, scaricandone sulla società i costi ambientali e sociali”. Anche la tassa di successione dovrebbe confluire nel fondo, se utilizzata per questo scopo infatti, questa tassa soddisferebbe un ideale condivisibile: ridistribuire parte della ricchezza di chi ha fatto fortuna, anche ai figli degli altri, oltre che ai propri.

Per concludere manca la cosa più difficile: una classe politica totalmente rinnovata che prenda coscienza del male che affligge l’economia e inizi senza indugio la cura.

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