Hanno atteso più di trent’anni prima di avere giustizia. Sono 11 donne, oggi ultrasettantenni, che tra il 1982 e il 1983 hanno subito degli abusi sessuali presso la base militare di Sepur Zarco, nel nord del Guatemala. A riconoscerlo è stata una sentenza unica per il Paese che ha visto due ex militari condannati a un totale di 360 anni di carcere per violazione dei diritti umani, dopo le accuse di omicidio, stupro, schiavitù sessuale e domestica nei confronti di un gruppo di donne indigene. Si tratta della prima condanna per violenza sessuale riguardante i fatti avvenuti durante la guerra civile che ha devastato il Paese tra il 1960 e il 1996. Il premio Nobel per la Pace, Rigoberta Menchu, presente in aula, ha definito la sentenza “storica”.
L’ex comandante Francisco Reyes Giron è stato condannato a 120 anni di reclusione per crimini contro l’umanità, per aver ridotto in schiavitù sessuale 15 donne e per l’omicidio di Dominga Coc e delle sue due giovani figlie. Mentre l’ex commissario Heriberto Valdez Asij, all’epoca dei fatti un civile con funzioni militari, è stato condannato a 240 anni con l’accusa di schiavitù e per la sparizione di sette uomini.
Durante il processo, le vittime, alcune delle quali si sono presentate in abiti tradizionali e con il volto coperto per la paura, hanno testimoniato per gli abusi subiti presso la base militare negli anni ’80. Anni bui per il Paese sudamericano, funestato da una guerra civile durata oltre tre decenni in cui persero la vita o sparirono circa 245.000 persone. In quegli anni i militari si accanivano contro le popolazioni indigene. In una delle azioni, venne devastato il villaggio di Sepur Zarco, i cui abitanti di sesso maschile furono uccisi o fatti sparire. Quando alcune delle donne si presentarono alla base militare per chiedere di loro, furono violentate. Secondo le testimonianze, da quel momento quelle donne furono considerate a “disposizione” dei soldati, come schiave, per i lavori domestici o i piaceri sessuali. Tutte loro, che hanno ormai tra i 70 e gli 80 anni, hanno atteso per oltre 30 anni che fosse loro riconosciuta giustizia. Nessuna parla spagnolo, lingua ufficiale del loro Paese: hanno sempre e solo comunicato nel linguaggio indigeno maya, conosciuto come Q’eqchi.
Quando la sentenza è stata letta, l’aula è scoppiata in un ovazione di grida e applausi. Rigoberta Menchu ha commentato: “Questo è un grande passo per le donne e soprattutto per le vittime”. “Questa storica sentenza – ha aggiunto Erika Guevara-Rosas, direttore per le Americhe di Amnesty International – trasmette un messaggio inequivocabile: la violenza sessuale è un reato grave e non importa quanto tempo passi, perché sarà punito. È una grande vittoria per le undici donne che hanno intrapreso questa battaglia per la giustizia lunga 30 anni”.
Yassmin Barrios, giudice capo della corte, ha spiegato così la sentenza: “Lo stupro è uno strumento o un’arma di guerra, è un modo per attaccare il Paese. E la donna è vista come un obiettivo militare“.