Nuova cinquina di film in uscita nelle sale italiane, commentati dal critico cinematografico Massimo Bertarelli nella sua rubrica Critical Max. Il primo lungometraggio recensito è “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti. Entusiastico il giudizio di Bertarelli: “E’ la vera sorpresa della settimana, un piccolo capolavoro, un gioiellino di umorismo e di azione. E’ un film-fumetto che parla di un borgataro romano, interpretato da Claudio Santamaria, che si tuffa nel Tevere per sfuggire a due individui che lo vogliono pestare e poi riemerge, trovandosi improvvisamente dotato di una forza sovrumana. Il pezzo forte del film” – continua – “è la ragazza del piano di sopra, una bravissima Ilenia Pastorelli, che scambia davvero il protagonista per il suo eroe dei fumetti. Il trio d’attori (Santamaria, Marinelli e Pastorelli) funziona benissimo e il film è di un divertimento unico. Da vedere a tutti i costi“.
Tiepido il commento su “Tiramisù”, che vede il debutto di Fabio De Luigi alla regia: “Il film è proprio inconsistente, è una commediola così così, in cui si ride davvero poco e comunque molto meno del previsto”.
Consigliato dal critico, invece, è il thriller “Good Kill” di Andrew Niccol, con Ethan Hawke e January Jones: “E’ un film avvincente, che avrà sicuramente successo, anche se ha qualche lungaggine. La storia è incentrata su un pilota di droni e contiene anche un tema morale”.
Positivo anche il giudizio su “Amore, furti e altri guai” di Muayad Alayan: “E’ uno dei rarissimi film palestinesi che arrivano da noi: è in bianco e nero, con un titolo un po’ ermetico, ma la storia è divertente e spiritosa. E’ un lungometraggio grottesco nel senso pieno della parola. Il film è spigliato, si vede volentieri, dura poco, per cui si può anche consigliare”.
Fortemente critico, infine, il commento di Bertarelli sul film cileno “Il club”, firmato da Pablo Larrain e vincitore dell’Orso d’argento alla Berlinale 2015: “E’ l’ultimo film della settimana, e intendo ultimo in tutti i sensi. E’ un melodrammone scabroso, pesante, cupo. E’ da brividi. Di disgusto, anche. La trama verte su una casa-prigione in cui sono rinchiusi quattro preti e una suora, che devono espiare le gravissime colpe commesse in passato, come abusi su minori e vendite di bambini. Il film è di una lentezza esasperante, una roba da scappar via a gambe levate. Sconsigliatissimo”.
Regia di Samuele Orini, testo di Gisella Ruccia, collaborazione di Simona Marfè