Quando arrivano, i rappresentati delle case editrici, inondano la sala docenti con le novità editoriali. Sono cordiali, simpatici e tendenzialmente amichevoli nell’approccio; ogni anno propongono decine di testi “nuovissimi” e, naturalmente, aggiornati, più chiari, innovativi, indispensabili – soprattutto indispensabili -, “professore, lei non può non adottarlo”. “Davvero? Mi dica, quali sono le caratteristiche principali?”.
Sono come le sirene di Ulisse, gli agenti editoriali, ma gli insegnanti purtroppo non hanno i tappi nelle orecchie. Potessero vedere le facce, ascoltare certi dialoghi, i genitori dei nostri alunni sarebbero ancora più incazzati quando sono costretti a comprare, per il secondo figlio, molti volumi già presenti negli scaffali del primogenito. “Non vorrei sbagliarmi, prof, ma tranne la copertina e qualche nuova lettura nella parte antologica, il testo di letteratura è simile a quello che ha usato Fabrizio.”
E’ la triste e desolante verità. Molte nuove adozioni sono inutili. Raramente arrivano, nelle scuole, testi veramente innovativi nell’impostazione didattica. Perché dunque adottare? Vecchia questione. Ogni anno si ripropone con ritmi, modi e tempi che ricordano l’eterno ritorno dell’uguale. Il nuovo Abbagnano-Fornero, storico testo di filosofia, è davvero così diverso, per dire, dall’edizione precedente? I tomi di letteratura italiana e il libro di scienze e i volumi di storia dell’arte sono più aggiornati dei testi di pochi anni fa? I dubbi ci sono e circolano (eccome!) anche tra i docenti che poi, impossibile negarlo, finiscono per adottare. Perché?
La domanda chiama in causa la sociologia, la psicologia, la psicanalisi… e qui mi fermo, l’elenco è lungo. Voglio dire: mettetevi nei panni di un insegnante tendenzialmente frustrato – ce ne sono molti – che improvvisamente si vede vezzeggiato, al centro dell’attenzione, corteggiato (“prof, lei ha tutte le caratteristiche per apprezzare un testo così moderno e innovativo”), come pensate che reagisca? E così, ogni anno, la scuola si ritrova con i soliti vecchi programmi incolonnati in volumi con copertine nuove. Volumi costosissimi che è inutile cercare nel mercatino dell’usato, rifugio dei ceti popolari: “Questa è un’edizione nuova, signora, uscita da poco, la troverà da noi a partire dal prossimo anno”. Ma il prossimo anno rischia di essere già tardi. Le sirene delle case editrici stanno già facendo il corso di aggiornamento in “strategia di marketing e vendita” della merce-libro. Ai genitori in cassa integrazione, ai lavoratori a basso reddito, al ceto medio impoverito non resta che stringere la cinghia e procurarsi i soldi. Le banche concedono piccoli prestiti. Al 6 per cento d’interesse.