La sesta sezione penale della Cassazione ha assolto, con sentenza irrevocabile, il senatore del Pd Salvatore Margiotta dalle accuse di corruzione e turbativa d’asta che gli erano state contestate in un procedimento relativo a un appalto per la costruzione in Basilicata del Centro Oli della Total. La sentenza di secondo grado di condanna del parlamentare a un anno e sei mesi di reclusione è stata annullata senza rinvio dalla Suprema Corte, per insussistenza del fatto quanto alla corruzione, per non aver commesso il fatto quanto alla turbativa d’asta. “Giustizia è fatta”, ha commentato Margiotta, che dopo la condanna decisa due anni fa dalla Corte d’Appello di Potenza si era autosospeso dal Pd e si era dimesso da vicepresidente della Commissione di vigilanza Rai.
Margiotta – difeso dagli avvocati Coppi, Buccico e Pace – era finito in un’inchiesta condotta nel 2008 dal pm Henry John Woodcock (allora in servizio a Potenza) su presunte tangenti nella realizzazione del Centro Oli della Total nell’ambito della concessione “Tempa Rossa“, nella zona di Corleto Perticara (Potenza), e su un “comitato di affari” per gestire tangenti sugli appalti delle estrazioni petrolifere in Basilicata. L’inchiesta portò il 16 dicembre 2008 all’arresto dell’allora amministratore delegato e di alcuni dirigenti della Total, di un imprenditore e del sindaco di Gorgoglione (Matera).
Per Margiotta la procura di Potenza chiese e ottenne dal gip i domiciliari, negati poi dall’Aula di Montecitorio (in quella legislatura Margiotta era alla Camera) e revocati pochi giorni dopo dal Tribunale del Riesame. L’accusa ipotizzava che Margiotta avesse fatto valere la sua influenza per favorire l’aggiudicazione degli appalti a un gruppo di imprenditori, fornendo loro informazioni sul procedimento e facendo pressioni sui dirigenti della Total. I legali del senatore scelsero il rito abbreviato, arrivando all’assoluzione nel 2011. Nel secondo grado la Corte d’appello di Potenza ribaltò il verdetto, condannando Margiotta, oltre che a un anno e sei mesi di reclusione, anche all’interdizione dai pubblici uffici. Il senatore contestò il verdetto “fondato – disse – su illazioni e congetture” e continuò a urlare la sua innocenza, che ora gli è stata riconosciuta con la sentenza della Cassazione.