Il laboratorio di eccellenza ricavato da un ex deposito di autobus rischia di restare vittima dei tagli pensati per ripianare il buco delle gestione Tosi. Dei 60 lavoratori dei tempi d'oro, oggi ne sono rimasti 24. "Se non investono adesso, presto non saremo più operativi"
Nato nel 1981 nei capannoni di un ex deposito di autobus, il laboratorio delle scenografie dell’Arena di Verona ha rivoluzionato il palcoscenico del teatro dell’opera. Ora rischia di chiudere, stritolato dalle logiche dei tagli lineari di chi vede il teatro stabile veronese come una semplice azienda da “ristrutturare” riducendo il costo del lavoro. “Il teatro sta diventando un’agenzia senza più produzione artistica. Qui sono passati grandi maestri come Sergio Colliva, Pietro Zuffi, Giuliano Montaldo, Luciano Ricceri… – racconta a ilfattoquotidiano.it uno scultore che nei laboratori ha passato più di trent’anni – Ora è un disastro, le scenografie le fanno arrivare da Cinecittà e a noi tocca passare il tempo a tagliarle e a riadattarle, perché nell’Arena non ci sono standard: è l’unico palcoscenico al mondo a misura d’uomo. Ed è questa la sua magia”.
Nei tempi d’oro erano in 60, ora sono rimasti in 24, 12 costruttori e 12 scenografi. I laboratori di via Gelmetto sono sempre stati una fucina di idee a metà strada tra arte e tecnica, per “mettere in scena un’atmosfera, qualcosa d’impalpabile: dare una forma fisica a un bozzetto”.
Come nascono le idee? “Una volta si facevano delle vere e proprie riunioni in cui si condividevano riflessioni e spunti. C’era un grande fermento. Ormai la procedura è collaudata, si parte dal reparto costruzioni, una falegnameria vera e propria, dove viene costruito lo scheletro della struttura. Poi viene passato tutto al reparto scenografie, che costruisce il guscio estetico ed artistico che andrà in scena”. Le loro invenzioni per opere monumentali come Aida, Turandot, Il barbiere di Siviglia, hanno fatto scuola e sono ammirate in tutto il mondo.
“Usiamo una nostra tecnica, la termoformatura, che ci ha permesso di rivoluzionare il modo di fare scenografia, con poco dipinto e molta costruzione. Abbiamo semplicemente adattato una tecnologia consolidata, usata ad esempio anche per fare le vasche da bagno, per creare un prodotto artistico”. Opere che devono essere anche facilmente smontabili, perché durante il festival lirico all’Arena c’è uno spettacolo diverso ogni sera. “I laboratori erano un luogo di incontro di molti artisti. Una volta venne a lavorare con noi uno scultore famoso che aveva l’idea di fare un grande reparto scultura. Mise veramente l’anima per l’Arena, poi litigò e se ne andò, ma il reparto è rimasto. Ecco, è questo che rischia di finire per sempre”.
Non un semplice gruppo di artigiani e operai, ma scenografi e artisti che hanno fatto sognare mezzo mondo. Senza dimenticare di avere a che fare con un anfiteatro romano patrimonio dell’Unesco: “La prima cosa che ho imparato, perché me lo ripetevano tutti i giorni, è che stavo lavorando in un monumento. Questa consapevolezza ormai non c’è più”. Nel piano presentato ai sindacati dalla manager Francesca Tartarotti si parla di “aumento delle co-produzioni e ristrutturazione dei laboratori”: un’operazione che permetterebbe di recuperare, sulla carta, 1,1 milioni di euro. “In pratica costiamo quanto il museo della lirica Amo, che è a carico della fondazione anche se non c’entra nulla con la stagione lirica. Ormai abbiamo anche problemi di sicurezza sul lavoro, e se non investono adesso presto non saremo più operativi”. Forse il laboratorio dei sogni dell’Arena, a Verona sud, tornerà ad essere un deposito per autobus.