Molta confusione sotto il cielo del Ddl Cirinnà sulle unioni civili. Alcuni accolgono il provvedimento come una legge storica, addirittura “con lo stesso valore epocale della legge sul divorzio e l’aborto” (Francesco Merlo, su La Repubblica), altri lo bollano come “un insulto a chi paga tasse […] e anche un passo indietro” (lo scrittore Luigi Romolo Carrino, sul suo muro di Facebook). All’interno della comunità gay, lesbica, bisessuale e transessuale (Lgbt) c’è chi gioisce e già prepara la lista di nozze e i confetti, e chi invece recrimina, considerando questo testo di legge come l’ennesimo provvedimento discriminatorio.
A fronte di giudizi così estremi e opposti, vale la pena di tentare un’analisi che sia la più neutra possibile. Cominciamo allora dai diritti che il Ddl Cirinnà garantisce alle coppie che riterranno di unirsi civilmente.
Come scrive Marco Gattuso, giudice del Tribunale di Bologna, e direttore del sito giuridico Articolo29.it, autore di una utilissima ‘prima guida’ sulle unioni civili, al netto della mancanza del diritto di adozione del configlio, “vengono riconosciuti tutti -ma proprio tutti- i diritti del matrimonio, nessuno escluso”. Gattuso nel suo pezzo elenca un’infinita serie di pesantissimi diritti civili e umani che vengono riconosciuti dal Ddl Cirinnà, e a lui rimando.
E tuttavia, come nota lo stesso autore, il legislatore italiano ha ritenuto di percorrere la tortuosa strada della cosiddetta uguaglianza nella separazione del diritto (“separate but equal“), anziché andare alla semplice estensione di diritti umani e civili presenti nel nostro ordinamento per le coppie di sesso diverso. Il limite non è, secondo il giudice, nella Costituzione italiana, che non a caso all’art. 29 parla di “coniugi” e mai di “uomo e donna”.
Inoltre, nel disperato tentativo di dequalificare le unioni civili rispetto al matrimonio (fatto che pare costituire una volontà oggettiva del ministro dell’Interno, che si è espresso sul tema con un linguaggio maccartista, vantandosi di “aver bloccato una rivoluzione contronatura e antropologica“) il legislatore ha introdotto alcune differenze rispetto al matrimonio, che però risultano paradossalmente dei punti di vantaggio e di ammodernamento dell’istituto rispetto al matrimonio. Vediamone tre: il divorzio brevissimo in soli tre mesi (per le coppie sposate ne occorrono almeno 6) e senza il periodo di separazione (per gli sposati c’è, e va dai 6 a 12 mesi).
Poi la questione del cognome: alle coppie sposate la legge continua a imporre l’adozione del cognome del marito, chiaro derivato del maschilismo italico, mentre alle coppie unite civilmente la legge stabilisce che la scelta venga fatta dai due partner in accordo.
Quindi, la tanto discussa abrogazione dell’obbligo di fedeltà fra i partner, ancora presente per le coppie sposate. Come scrive ancora il giudice Gattuso: “La fedeltà […] nulla, ma proprio nulla, rileva rispetto alla capacità genitoriale della persona, tant’è che la violazione dell’obbligo coniugale di fedeltà non ha e non deve mai avere la minima incidenza rispetto all’affidamento dei figli”. Quando il legislatore italiano di ispirazione cattolica pensa all’obbligo di fedeltà fra coniugi si ispira a un derivato dal diritto canonico (Libro IV, Titolo VII, can 1063) che riguarda la concezione sacramentale del matrimonio, e non certo quella del matrimonio quale contratto di diritto civile fra due laici adulti. Chiaramente non spetta alla legge, bensì ai coniugi, codificare quali comportamenti di coppia possono essere accettati in una relazione d’amore, e quali no, e in ogni caso la fedeltà di coppia non è requisito giuridico per poter adottare il configlio.
L’unica vera mancanza di questo Ddl Cirinnà è dunque l’assenza di ogni riferimento all’adozione del configlio. E’ una grave mancanza perché anzitutto le coppie dello stesso sesso con prole esistono in Italia e sono una (bellissima) realtà. Quando il legislatore sceglie di non parlare di questa realtà, si sottrae al suo dovere di garantire a questi bambini gli stessi diritti dei bambini delle coppie divorziate eterosessuali. E’ però anche vero che il Ddl Cirinnà non parla in assoluto di adozioni, lasciando dunque mani libere a quella magistratura italiana che fino a oggi ha già sopperito alla lacuna di legge concedendo l’adozione del configlio anche a coppie dello stesso sesso unite in matrimonio all’estero.
In conclusione, credo che questo istituto sarà presto impugnato davanti alla Corte Costituzionale da diverse coppie eterosessuali che vorranno beneficiarne, e però allo stato attuale non possono poiché il testo parla di “coppie dello stesso sesso”. Se per caso la Corte dovesse stabilire il diritto di tutti i cittadini ad accedere al nuovo contratto, avremo il bel paradosso che con i voti del partito più omofobo del Parlamento, l’Ncd di Angelino Alfano e Giovanardi, si sarà offerto al Paese un istituto che davvero minerà il matrimonio eterosessuale, diventandone una valida alternativa molto più moderna e leggera, in linea col diritto di famiglia occidentale del XXI secolo. In questo senso, il Ddl Cirinnà sarebbe un passo avanti nel diritto di famiglia italiano di portata davvero epocale.