Rischio aflatossine nella pasta con grano importato? Occorre etichettare, aumentare i controlli, ma soprattutto privilegiare un modello di economia a filiera corta, solidale e senza pesticidi.
Noi la pasta la compriamo da un artigiano locale. La farina che lui utilizza viene macinata da un mugnaio della zona, che reperisce il grano antico da produttori locali e biologici. Una filiera corta, dove contadino, mugnaio, artigiano, e consumatore si conoscono, collaborano e dialogano. Così pure le lenticchie, il farro, i fagioli, i ceci… ci arrivano a casa in sacconi grandi di rafia, ce li dividiamo tra famiglie del gruppo d’acquisto (GAS) e poi restituiamo il sacco al produttore per l’ ordine successivo. Imballaggio zero, km pochi, minor rischio di aflatossine (perché i grani sono coltivati in climi miti, brevi sono i tempi di stoccaggio e le distanze percorse), e nessun residuo di pesticidi.
Lati negativi?
E’ vero, la pasta fatta coi grani antichi e locali non tiene molto la cottura. Tanto meglio: si risparmia sull’uso del gas. Dopo nemmeno un minuto che l’acqua bolle, io spengo il gas. Lascio qualche minuto col coperchio chiuso, e poi scolo (ovviamente recuperando l’acqua per i piatti!). E la pasta è straordinariamente buona e al dente!
Altro punto critico: il prezzo. La pasta locale costa più di quella che si compra al discount, che viene da grani prodotti oltreoceano. Ma io credo che i soldi spesi per alimentare l’economia locale e proteggere l’ambiente, sono soldi ben spesi. Tanto prima o poi il danno fatto all’ambiente ci si ritorcerà contro.
Però un po’ di conti li abbiamo fatti, oltre ai rifiuti, abbiamo monitorato anche le nostre spese alimentari: la nostra spesa alimentare è all’incirca di 310 euro al mese. Contro le 460 euro mensili degli italiani (dati Istat). Abbiamo risparmiato facendo molta autoproduzione, rinunciando a cene al ristorante, colazioni al bar, alimenti pronti, industriali,merendine/snack, o altri cibi inutili perché resi indispensabili solo dalla pubblicità.
Però il meccanismo ingiusto resta, dobbiamo capirlo e denunciarlo. Come mai la pasta locale, solidale, biologica costa così tanto rispetto a quella che viene fatta col grano del Canada? come mai la lenticchia sfusa e locale costa molto di più di quella che trovo al discount imballata, che magari viene dalla Cina? Come mai il cibo spazzatura costa molto meno del cibo sano? Ci dev’essere un modello distorto di economia, che non considera nel prezzo finale le esternalità negative. Il carburante, i pesticidi, le lavorazioni industriali, costano troppo poco e vengono tassati ancor meno, spesso i braccianti sono sottopagati dalle grandi multinazionali. Viceversa, i metodi di agricoltura rispettosi dell’ambiente (biologico, sinergico, genuino clandestino) sono poco sovvenzionati.
Siamo in parte obbligati ad importare grano dall’estero perché l’Italia è uno dei paesi più cementificati dell’Europa, con il 7,8% del territorio artificiale, non coltivabile (dati Ispra): questo circolo perverso alimenta ancor più il traffico di merci e la necessità di nuove strade e cemento.
I gruppi di acquisto solidali, i mercatini del contadino, i negozietti che vendono sfuso, i piccoli artigiani o le piccole cooperative agricole biologiche sono valide alternative ad assurdi meccanismi economici. Anche qui l’obiezione che sento nascere è: “Chi ha tutto questo tempo da perdere? Meglio andare al discount e comprar tutto in una volta sola…”
Inutile dire che il tempo speso per proteggere l’ambiente e rendere il mondo un po’ più giusto non dovrebbe considerarsi tempo perso…
Abbiamo poche leve per cambiare il mondo: una leva è il voto, una è la possibilità di informarsi e manifestare, l’altra (forse la più importante) è il consumo critico. Se rinunciamo a fare la spesa in modo critico, non siamo semplicemente indifferenti, ma complici di un sistema ingiusto che avvelena l’ambiente e stritola nella povertà i due terzi dell’umanità.