L’Antitrust lo dice dal 2008 e lo ha ripetuto di recente in più occasioni: nella raccolta e nell’avvio al riciclo degli imballaggi serve più concorrenza. Un primo passo potrebbe arrivare presto con l’approvazione anche al Senato del ddl sulle liberalizzazioni, dopo anni in cui la politica ha fatto orecchie da mercante agli appelli dell’Autorithy, mentre a pagare il prezzo dell’immobilismo erano le aziende che hanno tentato di mettere in piedi sistemi autonomi di raccolta e recupero dei materiali. Con iter durati anni, tra ritardi, schermaglie legali, annullamenti di procedure ed esposti all’Authority per la concorrenza.
Per rispettare l’obbligo di recuperare gli imballaggi usati, il Testo unico ambientale del 2006 prevede che i produttori possano aderire al Consorzio Conai, istituito dalla legge nel 1997 per dare input a raccolta differenziata e riciclo oppure avviare un sistema autonomo, a patto di gestire i propri contenitori e di coprire tutto il territorio nazionale. Chi ha scelto la seconda opzione, però, si è trovato ad affrontare un percorso a ostacoli, iniziato con gli sforzi per soddisfare questi due requisiti considerati eccessivi dalla stessa Antitrust e continuato spesso in tribunale.
Aliplast: sette anni di calvario
Aliplast, azienda trevigiana che oggi avvia a seconda vita il 10 per cento di tutta la plastica riciclata in Italia, ci ha messo 7 anni per vedersi alla fine riconosciuto il diritto di operare con il proprio sistema Pari, attraverso il quale raccoglie e ricicla le pellicole in polietilene utilizzate dalle imprese per imballare bancali di merci. Oggi lavora con grandi nomi come Heineken, Nestlé e Saint Gobin, con una percentuale di riciclo del 60 per cento. “Il sistema Pari ha avuto il via libera nel 2009 dall’Osservatorio nazionale rifiuti, le cui funzioni sono oggi in capo al ministero dell’Ambiente, dopo 18 mesi di istruttoria – racconta Alessandro Stocco, manager di Aliplast – Nel frattempo, però, Conai ha presentato ricorso, accolto dal Tar e confermato dal Consiglio di Stato, i quali hanno ritenuto che i controlli svolti sulla nostra attività non fossero sufficienti. L’iter così è tornato alla fase iniziale e siamo stati autorizzati di nuovo dal ministero solo ad agosto 2014″. Non finisce qui: “A quel punto, Conai ha presentato un nuovo ricorso contro il provvedimento. Abbiamo fatto ricorso anche noi, perché nel decreto ministeriale rimanevano dei vincoli alla nostra attività”. “Purtroppo – ammette Stocco – fare lobby non è il nostro lavoro, siamo e restiamo riciclatori”, ma “grazie all’istruttoria Antitrust il rapporto tra Pari e Conai è giunto ad una piena definizione e questo ha aperto la strada anche per altri sistemi che dovessero nascere in futuro”.
Compiti a casa
Stocco fa riferimento al procedimento avviato nel 2014 dall’Autorità per la concorrenza nei confronti di Conai e Corepla, il Consorzio per il recupero degli imballaggi in plastica, per verificare un eventuale abuso di posizione dominante. Tutto era partito da una segnalazione della stessa Aliplast. A settembre 2015, l’Authority ha chiuso l’indagine rinunciando ad accertare l’infrazione e accettando cinque impegni vincolanti presentati dai due consorzi. Impegni considerati “idonei a tutelare la concorrenza“, che offrono maggiori garanzie a Pari e che “si applicheranno alle procedure di riconoscimento dei nuovi sistemi”. Il primo, in particolare, parla di “non interferenza da parte di Conai” negli iter di riconoscimento dei sistemi autonomi. Il parere del Consorzio al ministero nel procedimento era previsto dalla legge del 2006, ma Conai, ha ripetuto il presidente dell’Authority Giovanni Pitruzzella in Parlamento anche a metà febbraio, “potrebbe esercitare un ruolo non neutrale nell’ambito delle procedure di riconoscimento dei sistemi autonomi” suoi concorrenti. L’Antitrust si è detta più volte a favore che questo compito passi a un ente terzo come l’Ispra.
Prs: due anni per un no
Un atteggiamento di terzietà di cui spera di beneficiare anche la Prs, società olandese che in passato ha tentato invano di farsi riconoscere dal ministero il proprio sistema chiuso di noleggio e recupero di pallet in legno per il trasporto merci. “L’azienda ha presentato richiesta di riconoscimento a dicembre 2011 e il ministero dell’Ambiente l’ha rigettata a luglio 2013, dopo ripetuti invii di documentazione e sollecitazioni. Tra le motivazioni del rifiuto, sostenute anche dal parere emesso da Conai, c’era l’idea, sbagliata a nostro avviso, che Prs non sia un produttore di imballaggi perché, pur progettandoli e immettendoli in commercio con il proprio marchio, non li fabbrica materialmente in propri stabilimenti. Perché il ministero, se la pensa così, non ha detto subito che la domanda era inammissibile?”, si chiede l’avvocato Mara Chilosi, che ha poi difeso la società nel ricorso al Tar del Lazio contro il provvedimento del governo.
La sentenza, arrivata l’anno scorso, ha sciolto altri nodi tecnici, ma ha lasciato aperto quest’ultimo punto: “Se Prs anziché nel 2011 avesse presentato la domanda oggi, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. Per questo stiamo valutando se presentare una nuova richiesta di riconoscimento. Ci amareggia che ci debbano essere sempre dei pionieri che sopportano il peso dei cambiamenti sulle loro spalle: questa società opera in tutta Europa con il suo sistema di pallet pooling e l’Italia è l’unico Paese in cui ha problemi”.
Primi passi
L’articolo 37 del ddl concorrenza già approvato alla Camera e ora in discussione in commissione Industria al Senato potrebbe aiutare la libera iniziativa: da una parte sostituisce il parere del Conai con quello di un ente terzo come l’Ispra, come suggerito dall’Antitrust; dall’altra prevede che il contributo che produttori e utilizzatori pagano al Conai per la gestione degli imballaggi non sia dovuto a partire dal primo riconoscimento del sistema autonomo, anziché solo dal via libera definitivo, in modo da non appesantire chi cerca di investire in un nuovo progetto. Un primo passo, anche se per chi lotta e aspetta da anni non basta: “Rimangono molte criticità”, dice Chilosi. “Una su tutte – sottolinea – è il fatto che oggi può costituire un sistema autonomo solo chi rientra nella categoria di produttore di imballaggi. Molte aziende che si configurano come utilizzatori, come quelle che importano imballaggi pieni dall’estero, avrebbero interesse a investire in un progetto simile, ma si trovano la strada sbarrata”.