Grande scalpore ha suscitato a Roma la vicenda dei mercatini che, secondo le interpretazioni di diversi esponenti politici, avrebbe avuto il suo inizio nella volontà del Commissario Tronca di destinare 5 milioni di euro per incentivare la pratica della vendita di merce di dubbia provenienza da parte dei rom. Secondo la consuetudine del periodo elettorale ne è seguita un’escalation di dichiarazioni convulse, culminata con la visita di Salvini nel “campo” di Salviati. Bertolaso, convinto che la pratica del rovistaggio sia alla base della vendita informale di merce usata, ha promesso, come candidato a sindaco, di eliminare tutti i cassonetti della Capitale. La Lista Marchini ha lanciato una petizione su Change.org. Giorgia Meloni ha chiesto con urgenza “il ritiro della delibera” sui mercatini abusivi a firma di Tronca. A sinistra, come accade in questi casi, il silenzio di chi vive sensi di colpa.
Tanto rumore – in realtà totalmente infondato e conseguenza di un tam tam giornalistico partito da un articolo scritto ad arte – ha avuto l’effetto di mettere in ombra un bando del Comune di Roma pubblicato lo scorso 19 febbraio. Si tratta di una gara a procedura aperta per l’affidamento del servizio di gestione e del servizio di vigilanza all’interno dei “campi nomadi” di Castel Romano. Lombroso, Salone, Candoni, La Barbuta, Gordiani. Il costo a base di gara è superiore ai 5 milioni di euro con una incomprensibile divisione dei costi per cui, per esempio, nell’insediamento di Lombroso, dove è registrata la presenza di 37 famiglie, il costo unitario a famiglia per il servizio di gestione e vigilanza previsto nel bando, raggiunge una cifra di poco inferiore ai 18.000 euro. Una somma che basterebbe a garantire una casa a chi vive in emergenza abitativa ma che il Comune di Roma preferisce destinare per “gestire” e “vigilare”.
Sono tre gli elementi che mi fanno ritenere che il bando di Tronca sia uno di quelli redatti prima che scoppiasse lo scandalo di Mafia Capitale, opportunamente “congelato” in attesa di tempi migliori e ora riproposto puntando sulla disattenzione generale. Tre elementi che suscitano tre domande.
Il primo è politico. Perché, invece di procedere al superamento dei “campi”, progettandone tempi, modalità e azioni, il Comune di Roma decide di destinare 5 milioni di euro per pagare 96 stipendi a vigilantes e operatori sociali per un servizio rivelatosi in passato investito da mille criticità? Il ricordo va al 2013 quando Alemanno, in pieno ballottaggio elettorale, decise l’assunzione di 83 vigilantes per garantire il presidio dei “villaggi”. Forse, in vista delle amministrative, il bando deve accontentare quei lavoratori nel sociale il cui interesse è considerare i rom come soggetti da gestire e vigilare?
Con il secondo si entra nel merito. Potranno concorrere al bando esclusivamente le organizzazioni che nel passato hanno svolto i medesimi servizi. Sono solo quattro le organizzazioni candidabili perché storicamente presenti nei sei insediamenti oggetto del bando e sarà un gioco da bambini prevedere chi risulterà assegnatario con ribasso minimo e senza concorrenza. Perché allora proporre una gara le cui regole hanno reso scontato l’esito?
Il terzo elemento è di contenuto. Le azioni previste nel servizio di vigilanza replicano quelle già programmate e attuate a Roma tra il 2010 e il 2012 nel quadro delle regole previste dalla “Emergenza Nomadi”. Le stesse sono state bocciate dal Tar che le ha giudicate in violazione dell’articolo 16 della Costituzione italiana. Perché redigere un bando con azioni in aperto contrasto con i principi costituzionali?
A questo punto la palla passa a Tronca, che dovrebbe annullare il bando cercando magari anche di capire chi ha avuto l’ardire di scriverlo e di riproporlo. Ma non solo; la palla passa anche alle quattro organizzazioni, le uniche che, di fronte ai 5 milioni, potrebbero correre il rischio di presentare le candidature o decidere di mandare il bando deserto per una questione di opportunità ma anche, usando una “parolaccia”, di etica del lavoro sociale.
Resta l’incognita di quanti, difensori del diritto, con un ricorso al Tar o un esposto all’Anticorruzione, potrebbero in qualsiasi momento provare a far saltare il banco. Il campo in cui si giocherà questa partita di civiltà è Roma, la città dove, come suggeriva Buzzi, occuparsi degli “zingari” rende, sempre e comunque, più della droga. Soprattutto in campagna elettorale quando, sulla pelle dei rom, si costruisce una fetta importante di consenso.