La notizia è di pochi giorni fa: il Comune di Bologna sta per accordarsi con Airbnb per far sì che ogni persona che prenota in città una casa o una stanza paghi con certezza una tassa di soggiorno. Bologna segue così l’esempio di Firenze, che è stata una delle prime città turistiche in Italia a intavolare una discussione con Airbnb su questo tema. A ragion veduta: una volta rodato, il meccanismo – una specie di “trattenuta alla fonte”, dove Airbnb riscuoterà la tassa di soggiorno dall’ospite per poi versarla nelle casse del Comune – potrebbe portare nelle casse di Palazzo Vecchio fino a 10 milioni di euro. È quello che già succede in città come Parigi, Amsterdam e San Francisco.
Se l’esempio di Firenze e Bologna dovesse diventare la prassi in tutte le principali città turistiche d’Italia, quasi ogni singolo appartamento su Airbnb sarebbe tracciato. Si ridurrebbe così di molto il sommerso, ancora altissimo in questo settore. Basti pensare che nella sola Milano, anche grazie all’aiuto dell’Expo, nell’ultimo anno c’è stata una media di 13mila annunci sul sito a fronte di sole 515 strutture extra-alberghiere registrate negli elenchi del Comune. A Roma sono online 20mila annunci, ma le attività ricettive extra-alberghiere censite sono solo 8600. Anche la stessa Firenze non è messa molto bene: si stima ci siano 6600 case fantasma, a cui il sindaco Nardella ha deciso di dare la caccia.
Anche se Airbnb sbandiera grande disponibilità a confrontarsi con le nostre amministrazioni locali, riuscire a trovare delle regole uguali che valgano per tutti da Bolzano a Palermo è impresa ardua, soprattutto quando si tratta di tasse. Nel frattempo, l’azienda californiana ricorda ai locatori il loro dovere in questo modo: “Ci aspettiamo che gli host familiarizzino con la normativa in vigore e che si comportino di conseguenza”. Il portale quindi scarica la responsabilità sugli host. Devono essere loro a riscuotere la tassa di soggiorno e provvedere a “girarla” al Comune.
La situazione non è molto più lineare anche nel caso delle strutture ricettive tradizionali. Il risultato è che i Comuni si muovono in ordine sparso. Ad oggi, la tassa di soggiorno che il turista paga dipende da diversi fattori come il numero di stelle e di notti passate in albergo. Nelle grandi città si va dai 3 ai 7 euro di Roma e dai 2 ai 5 euro di Milano. Sommati, questi soldi formano un tesoretto che secondo Federalberghi nel 2015 ha raggiunto 429 milioni di euro. Una cifra enorme, soprattutto se si pensa che la tassa viene prelevata in modi e tempi diversi soltanto in 735 comuni italiani, di cui il 60% al Nord.
A complicare il quadro, o a semplificarlo, a seconda dei punti di vista, si è messa quest’anno anche la Legge di Stabilità, che ha sospeso l’efficacia di leggi regionali e di deliberazioni comunali “nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l’anno 2015”. Tradotto: se tu comune hai sempre fatto pagare la tassa di soggiorno, potrai continuare ad applicarla e a riscuoterla anche nel 2016. Se invece, magari per favorire il turismo, hai scelto di non introdurla e volevi farlo a partire da gennaio o da un mese successivo, sei fregato. Oggi si trovano in queste condizioni decine di comuni in tutta Italia, tra cui Comacchio, Cervia, Alleghe e Cortina. Pare che molti primi cittadini abbiano già mandato delle missive di fuoco a Renzi, per impedire quella che definiscono una “sperequazione”.
Alla fine dei conti, la situazione è paradossale: ci saranno comuni che potranno contare sia su tassa di soggiorno di alberghi e di attività extralberghiere per finanziare i propri progetti culturali sul territorio; e ce ne saranno altri che nel 2016 non potranno contare né sull’una né sull’altra, soprattutto quelli in cui ancora poco si è fatto per far emergere i “furbetti” di Airbnb.