Lobby

Banca d’Italia, il nuovo “super ispettore” Francesco Giuffrida non ricorda a chi ha venduto la sua società plurindebitata

Il dirigente di via Nazionale ha una lunga storia e molteplici attività che in qualche occasione hanno sollevato interrogativi sui conflitti d’interesse reali e potenziali che si potevano determinare per via della sua attività imprenditoriale nel paese di origine, Montevago in provincia di Agrigento

Un giro di poltrone che è destinato a riaprire le polemiche su Banca d’Italia, sui suoi uomini e sulle modalità di nomina. A fine febbraio il direttore generale Salvatore Rossi ha disposto la promozione di Luigi Mariani dal ruolo di vice capo dell’Ispettorato Vigilanza a direttore della sede di Roma. Una mossa che ha il sapore del classico promoveatur ut amoveatur: Mariani si è occupato di contrasto alla criminalità finanziaria, corruzione e reati informatici ed è persona di grande competenza. Ora – scrive Rossi – “potrà mettere a frutto […] l’ampia esperienza nell’attività di supervisione bancaria e finanziaria maturata presso l’Ispettorato Vigilanza” nel nuovo ruolo di direttore della sede di Roma. Il sostituto di Mariani non è ancora stato individuato, di contro è stato spostato alla Vigilanza in qualità di ispettore principale Francesco Paolo Giuffrida.

Giuffrida, laureato in scienze politiche, è un dirigente con una lunga storia e con molteplici interessi. Interessi che in qualche occasione hanno sollevato interrogativi sui conflitti d’interesse reali e potenziali che si potevano determinare per via della sua attività imprenditoriale nel paese di origine, Montevago in provincia di Agrigento. Giuffrida è soprattutto noto per il fatto che all’epoca del processo Dell’Utri venne incaricato dalla procura di studiare l’origine dei flussi di denaro che dettero origine al gruppo Fininvest. Il dirigente, allora a capo della sede di Palermo della Banca d’Italia, concluse il suo lavoro affermando di non poter “risalire in termini di assoluta certezza e chiarezza all’origine, qualunque essa fosse, lecita o illecita, dei flussi di denaro investiti nella creazione delle holding Fininvest” e –  chiamato in causa da Fininvest – nel 2007 ha accettato di transare con la società riconoscendo “i limiti delle conclusioni rassegnate nel proprio elaborato e delle dichiarazioni rese al dibattimento”.

In quello stesso anno, intanto, la società da lui controllata al 96% (il restante 4% faceva capo alla moglie) – Terme Acqua Pia – si ritrova a fronteggiare delle perdite ed è anche fortemente indebitata per via degli investimenti effettuati negli esercizi precedenti con l’obiettivo di sviluppare parallelamente all’attività termale il business delle acque minerali. Nel 2007, su un debito totale di 7,8 milioni di euro (di cui circa 4,9 milioni con le banche), la società iscrive a bilancio ricavi per oltre 5,9 milioni di euro e chiude l’esercizio con una perdita di 316mila euro. Da allora sono passati diversi anni: non appena Giovanni Castaldi, un dirigente di Banca d’Italia molto vicino all’allora potentissimo Cesare Geronzi, viene nominato a capo dell’Unità di informazione finanziaria (Uif) a fine 2007, Giuffrida viene chiamato a Roma e diviene uno dei massimi dirigenti dell’antiriciclaggio, con delega ai rapporti con tutte le procure italiane.

Intanto, l’azienda di famiglia in un qualche modo galleggia. L’ultimo bilancio depositato, quello relativo al 2014, evidenzia ricavi per 644mila euro a fronte di un debito complessivo di 8,6 milioni di euro, di cui oltre 3,5 milioni nei confronti delle banche. Il dato forse più sorprendente è quello degli oneri finanziari che nel bilancio 2014 ammontano ad appena 178mila euro, il 2,06% su 8,6 milioni di debito, il 5,06% se si considera solo il debito bancario a breve e medio termine: un costo del credito difficilmente riscontrabile tra i normali imprenditori, gli artigiani e i consumatori e che legittima il sospetto che l’azienda di Giuffrida ne benefici proprio per il ruolo da lui svolto in Banca d’Italia. Contattato da ilfattoquotidiano.it, il dirigente ha smentito di possedere ancora azioni della società o che queste siano nelle disponibilità di suoi familiari, sostenendo peraltro di non ricordarsi quando ha venduto l’azienda e a chi. Una memoria davvero labile: dagli atti ufficiali depositati dalla società risulta che il 28 giugno 2015 Francesco Giuffrida, titolare del 90% di Terme Acqua Pia, abbia partecipato all’assemblea della società approvandone il bilancio 2014.

All’assemblea erano presenti anche la moglie, in qualità di amministratore unico della società, e la figlia in qualità di rappresentante del 10% del capitale intestato alla società I Paggi srl, che fa capo ai tre figli della coppia. A settembre del 2015, poi, Francesco Giuffrida si è recato personalmente dal notaio Pietro Costamante per stipulare assieme alla figlia l’atto di cessione di gran parte del capitale di Terme Acqua Pia alla società dei figli. In particolare, Giuffrida ha ceduto a I Paggi srl l’88% delle quote per un corrispettivo di 82.368 euro che gli verrà corrisposto “entro il 31 marzo 2017, in una o più soluzioni e senza aggravio di interessi di alcun tipo”. Dunque al 22 settembre 2015 il 100% del capitale delle Terme Acqua Pia faceva ancora capo alla famiglia e il dirigente di Banca d’Italia aveva una partecipazione del 2%. Possibile non ricordarsi quando e a chi la società è stata eventualmente venduta negli ultimi 5 mesi? Gli interrogativi importanti sono però altri: com’è possibile che in tutti questi anni  Terme Acqua Pia abbia beneficiato di tanta benevolenza da parte dei creditori? Quanti dirigenti della Banca d’Italia come Giuffrida si trovano potenzialmente in conflitto d’interessi per le attività extraistituzionali svolte da loro stessi o dai loro familiari? E soprattutto, è ammissibile tutto questo?