Parla il filosofo e epistemologo della scienza che si schiera contro l'iniziativa alla quale in Italia hanno aderito 168 accademici: “Il sapere non è mai neutrale, ma l'operazione è così feroce da far pensare e a un vero e proprio antisemitismo mascherato dalla retorica antisionista”
“E’ un’azione inutile, perché non giova nemmeno ai palestinesi. E ingiustificata, perché, se così facessimo, ci sarebbero ben pochi paesi che non finirebbero sotto questo tipo di boicottaggio. Penso che sul lungo periodo possa avere conseguenze negative sul mondo della ricerca“, parola di Giulio Giorello, filosofo e matematico di fama mondiale che boccia senza appello l’iniziativa messa a punto dalla campagna per il boicottaggio accademico e culturale d’Israele (Pacbi), declinazione del Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni (Bds), il movimento non violento nato dalla società civile palestinese nel 2005 a cui nel nostro paese hanno aderito numerosi accademici (leggi l’intervista all’attivista palestinese Omar Barghouti).
Il Bds mette a tema l’uso che facciamo della scienza all’interno di un conflitto, quindi, la presunta “neutralità della scienza”.
Mi guarderei bene dal dire che la scienza sia neutrale. Abbiamo già dimenticato la lezione di Giordano Bruno o di Galilei? Pensiamo alla coraggiosa lotta di Charles Darwin nelle scienze del vivente contro le menzogne dell’establishment, che voleva servirsi della nuova biologia per giustificare concezioni razzistiche che, come Darwin mostrò, non avevano alcun fondamento scientifico.
Il Bds chiede una presa di distanza da una ricerca organica alla politica israeliana di colonizzazione. Come riformula l’idea di “responsabilità sociale degli scienziati” in questo contesto?
Prendo atto che l’iniziativa di cui stiamo parlando non coinvolge la scienza in quanto tale, ma solo indirettamente. Gli scienziati non devono rinunciare ad ascoltare la loro coscienza. C’è poi il contesto sociale in cui “si prende posizione”, dal pubblico generico alla grande stampa. E qui bisogna aver molta prudenza nell’indicare presunti “colpevoli”. L’estensione della colpa alle istituzioni scientifiche a Israele è così feroce da farci pensare a un vero e proprio antisemitismo mascherato dalla retorica antisionista. La cosa è stata denunciata da Pierluigi Battista in un articolo sul Corriere della Sera in questi giorni. Inoltre, toccare le istituzioni scientifiche, sul lungo periodo comporterebbe un’arbitraria restrizione di qualunque libertà di ricerca.
Il boicottaggio colpisce le istituzioni, non le relazioni tra i docenti.
Resta il fatto che, attaccando in quel modo le istituzioni si evidenzia un bando dell’intera cultura d’Israele, come Battista non manca di sottolineare. Il che mi pare inaccettabile.
L’accusa di antisemitismo al Bds sarebbe appropriata?
Non do giudizi generali di valore. Mi limito a dire che il rischio dell’antisemitismo è sempre presente. E che un attacco unilaterale contro Israele è un sintomo del deteriorarsi del dibattito in quelle che Popper definiva “società aperte”.
II sapere scientifico è un valore assoluto o conosce dei limiti?
Mi guardo bene dal fare della ricerca un valore assoluto, valore non negoziabile con metodi democratici. La conquista della relatività di tutte le nostre conoscenze è un grande successo del pensiero critico: la scienza non è mai “assoluta”. La libertà di ricerca è la condizione perché questo “gioco della scienza” possa continuare.
Ha definito il Bds inutile e ingiustificato, ma sono decenni che la comunità internazionale rimane inerte di fronte alla colonizzazione delle terre palestinesi. Che alternativa propone?
La denuncia delle violazioni dei diritti civili è una buona alternativa, specie nelle zone occupate dalle Forze armate. E proporrei anche una critica delle politiche, compresi gli aspetti militari, molto più specifica.
E cioè?
In quale paese avanzato un politecnico non è in qualche modo implicato nelle richieste che possono venire dall’Esercito? Uno dei nodi della questione è la colonizzazione israeliana di terre palestinesi. È qui che si deve dare ampio risalto alle proteste di chi viene espropriato del proprio paese. Ma la formulazione di appelli generici è solo una rabbiosa manifestazione di odio per qualunque dialogo tra le parti in causa.
Odio in che senso?
Vedo continuamente Israele messo sotto accusa, mentre su altre questioni cala tranquillamente il silenzio. Quante volte ho visto miei scrupolosissimi colleghi britannici, per esempio, prendersela con Israele e non aprire bocca contro le palesi violazioni dei diritti umani compiute dalle truppe britanniche nella cosiddetta Irlanda del nord?
Eppure il Bds è sostenuto da una parte di studiosi israeliani: “non lasciateci soli”.
Lo sdegno può essere molto forte, ma, se stiamo parlando di razionalità politica, le cose sono diverse. Questa azione inadeguata e inconsulta fa nascere il sospetto di un persistente anti-ebraismo della sinistra italiana, europea e anche statunitense.
La politica in tutto ciò sembra latitare.
Mi limito a constatare come quella che una volta si chiamava una politica appassionata oggi sia piuttosto assopita. Dubito che iniziative del genere la risveglino; siamo lontani dalla politica di grande respiro che al loro tempo veniva auspicata da figure come Einstein o Oppenheimer.
Negli Usa il Bds ha portato il discorso dentro le accademie. Da noi, la critica a Israele è tabù. Perché?
Non mi pare. Una certa parte della sinistra non perde occasione di prendersela con Israele, mescolando questi attacchi all’antisemitismo più o meno latente dei gruppi di estrema destra.
In Italia co-fondatore del Bds Omar Barghouti ha avuto visibilità nulla. Eppure negli Usa scrive regolarmente sul NYT e sul Globe. Come si spiega?
Nel nostro Paese c’è una certa sordità sui grandi temi internazionali e un’eccessiva insistenza sui fatti locali. Questo ha due conseguenze negative: una è che si spegne l’interesse per le grandi questioni del Pianeta; l’altra è che il concentrarsi sulla mediocrità della scena politica italiana genera stanchezza e un senso di fastidio nei confronti di qualsiasi discussione politica, giusta o sbagliata che sia.