Parliamoci chiaro: Il Commissario Montalbano non è più soltanto una fiction tv o la riduzione televisiva delle splendide storie di Andrea Camilleri. Il Commissario Montalbano è un evento, è il Sanremo della fiction, il “Mondiale della serialità made in Italy”.
Forse lo sapevamo già, ma a leggere i dati Auditel relativi al ritorno del poliziotto più amato nella storia della televisione italiana (e forse della letteratura), c’è da restare sbigottiti: 10.862.000 spettatori, share del 39,06%, 25,5 punti di distacco dal secondo programma più visto del prime time, il film American Sniper su Canale5.
È record in valori assoluti (il precedente era dell’episodio Una lama di luce, che nel 2013 aveva superato i 10,7 milioni), ma il trionfo di Montalbano e di Luca Zingaretti non è soltanto una questione di numeri.
Cosa piace agli italiani delle sicule vicende del commissario di Vigata? Innanzitutto, come tutti gli eventi che si rispettino, Il Commissario Montalbano si dosa sapientemente: dal 1999 ad oggi, sono state prodotte dieci stagioni, per un totale di 28 episodi. Serialità ma anche no, insomma, perché Montalbano non è Un medico in famiglia e Camilleri non è uno scrittore compulsivo da discount.
Montalbano piace anche perché è umano, troppo umano. E perché Luca Zingaretti è riuscito a dare al personaggio uno spessore clamoroso, anche a rischio di vedere annullata la propria personalità attoriale, sacrificata sull’altare dell’identificazione totale col personaggio.
Zingaretti lo sa, e magari non è sempre contento di essere considerato solo e soltanto Montalbano, ma il legame tra l’attore e il personaggio è ormai totale, indissolubile, grazie a Zingaretti e forse nonostante lui.
Ma è ovvio che l’origine di un successo così clamoroso è da ricercare tra le pagine di quel monumento nazionale che è Andrea Camilleri. Un uomo che per gran parte della sua vita ha fatto cultura (popolare e non, bassa e alta) dietro le quinte e che poi ha deciso che era arrivato il momento di fare un passo avanti e godere finalmente delle meritate luci della ribalta.
Il primo romanzo con Salvo Montalbano come protagonista è del 1994, quando Camilleri aveva quasi 70 anni. E in poco più di vent’anni, l’ex uomo Rai diventa il vate della letteratura, riuscendo nell’impresa di mettere d’accordo critica e pubblico. Il rischio di diventare una sorta di Madonna Pellegrina, un feticcio per salottini chic, è sempre dietro l’angolo, ma grazie al cielo Camilleri è dotato di una ironia rara, di un approccio alla vita che ne ha conservato spirito e mente.
L’approdo televisivo del poliziotto di Vigata è datato 1999, con l’episodio “Il ladro di merendine”, trasmesso su RaiDue, che aveva ottenuto più di 6milioni di spettatori e il 24,45% di share. Da allora, e fino a “Una faccenda delicata”, andato in onda lunedì sera su RaiUno, è stata una cavalcata trionfale, un crescendo inarrestabile di fronte al quale viene meno persino un approccio critico al prodotto televisivo.
Beninteso, Il Commissario Montalbano è una signora serie televisiva, realizzata come Dio comanda, ovviamente nel suo genere e con il linguaggio che deve essere proprio di un prodotto di così larga fruizione. C’è un equilibrio virtuoso tra alto e basso, ed è qui che la vera essenza di Camilleri è stata rispettata maggiormente, ed è grazie a questo che quasi undici milioni di persone guardano la fiction diretta da Alberto Sironi e prodotta magistralmente da Palomar.
Pur rivolgendosi principalmente al target classico di RaiUno, Il Commissario Montalbano unisce i pubblici televisivi: dal “salottaro de sinistra” alla casalinga dursiana, tutti lo amano e tutti lo guardano.
Ed è questo, ancor più dei clamorosi dati Auditel, a certificare il trionfo di un prodotto televisivo che resterà nella storia del piccolo schermo e della cultura popolare italiana.