La rivista polacca wSieci, ripresa abbondantemente dalla stampa italiana, dedica il suo ultimo numero allo stupro islamico dell’Europa e mette in copertina una ragazza bianca, dai lunghi capelli biondi, vestita con una bandiera dell’Unione Europea. Su di lei delle mani scure che cercano di strapparle il vestito, le stringono i fianchi, le tirano i capelli, le bloccano i polsi.
Ma dove andremo a finire! Ormai la paura si è insinuata fra la gente e i premier di Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca cavalcano questa paura. Si sono riuniti a Praga per fare fronte contro le aperture tedesche a proposito dei rifugiati e contro il programma di ridistribuzione dei richiedenti asilo sostenuto da Bruxelles.
Secondo Viktor Orbán, il premier ungherese, la Grecia ha fallito la difesa dei confini Schengen dall’immigrazione è quindi giusto costruire una nuova barriera per sigillare le frontiere di Macedonia e Bulgaria per frenare il flusso dalla Grecia e limitare il flusso che risale dai Balcani verso nord. Alla fine dell’estate scorsa, all’apice dell’emergenza, Orbán aveva fatto da apripista alzando barriere di filo spinato ai confini con Serbia e Croazia, rivendicando al centro sud, il ruolo di bastione a difesa della cristianità dalla minaccia islamica, formalizzando la strumentale sovrapposizione tra terrorismo e immigrazione, cavallo di battaglia di molti leader della “democratica” Europa.
E pensare a quanta retorica abbiamo ingoiato quando Bruxelles ci spiegava qualche anno fa che il processo di allargamento verso l’est avrebbe favorito i flussi di immigrazione verso questi paesi e contribuito a dare nuova linfa all’invecchiamento europeo. Non solo, ma con l’allargamento non sarebbe cambiata la natura ma la base del dialogo fra le culture attraverso l’integrazione dell’islam. “Retrocede lo spettro di una islamizzazione dilagante in Europa. E questo Islam europeo si afferma infatti con caratteristiche che gli sono proprie e che lo differenzieranno sempre più dall’Islam quale esso è vissuto in terra musulmana.” (Il dialogo tra i popoli e le culture nello spazio euro-mediterraneo – Rapporto del Gruppo dei saggi istituito per iniziativa del Presidente della Commissione europea, 2002-2003 p. 16) E’ interessante notare come queste costruzioni ideologiche si siano sgretolate davanti alla marcia disordinata di uomini, donne, vecchi e bambini. I siriani, gli iracheni, gli afgani, i magrebini non sono guerrieri di un esercito che ha deciso di conquistare la vecchia fortezza europea, ma povera gente che fugge da bombe, guerra, uccisioni e stupri ed è bastata la loro presenza per mandare in aria le basi della costruzione europea.
Certamente possiamo fare analisi storiche e sociologiche per tentare di spiegare la fragilità e la contraddittorietà della politica, ma alcune volte sono i poeti che sanno cogliere l’essenza della tragedia, e il grande Kafavis è uno di questi in “Aspettando i barbari”.
Che aspettiamo, raccolti nella piazza?
Oggi arrivano i barbari…
Oggi arrivano i barbari,
e questa roba fa impressione ai barbari.
Perché i valenti oratori non vengono
A snocciolare i loro discorsi, come sempre?
Oggi arrivano i barbari:
sdegnano la retorica.
Perché d’un tratto questo smarrimento
Ansioso? ( I volti si sono fatti seri)
Perché rapidamente le strade e piazze
Si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?
S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione quella gente.