Televisione

Mr. Robot, il racconto malato di una società malata, ansiogena, paranoica e complottista

La serie tv, in onda dal 3 marzo su Mediaset Premium, è l’affresco estremizzato del mondo in cui viviamo, del controllo totale sui nostri dati privati e sulle nostre vite, dei magheggi delle multinazionali. Un V per Vendetta con molte più aderenze alla realtà con protagonista l’hacker Elliot, un disturbante Rami Malek

di Domenico Naso

Netflix, Sky, Mediaset Premium: è un bombardamento continuo di titoli più o meno di valore, il cui successo è spesso legato alla promozione che se ne fa e non all’effettiva qualità del prodotto. Non è così per Mr. Robot con Rami Malek protagonista, in onda dal 3 marzo su Mediaset Premium.

Una serie di quelle che restano negli anni e nell’immaginario collettivo, un gioiello che va trattato con cura, che non può e non deve perdersi tra le tante (a volte troppe) serie che ormai arrivano da ogni parte del mondo.

È ansioso e ansiogeno, è paranoico, è complottista, è inquieto e inquietante. È l’affresco estremizzato della società in cui viviamo, del controllo totale sui nostri dati privati e sulle nostre vite, dei magheggi delle multinazionali, “dell’1% dell’1% dei più ricchi del mondo che gioca a fare Dio”.

Al centro della vicenda, l’hacker Elliot, un disturbante Rami Malek, i cui occhi sgranati e sporgenti diventano una sorta di periscopio sul mondo che parte direttamente dalle viscere dei disadattati, dei diversi, di chi non si sente parte di questo mondo e di questa società.

Elliot è l’alienazione, lo straniamento, l’inadeguatezza di un animo non conformato. Elliot è una parte di ognuno di noi, con la differenza che, mentre noi la soffochiamo sotto i detriti della società contemporanea in cui viviamo, lui non vuole (e soprattutto non può) farlo. Un eroe che più antieroe non si può, un paladino suo malgrado, uno di quei personaggi destinati a essere portatori di qualcosa di enorme anche a dispetto delle loro stesse intenzioni.

Quello che funziona di più in tutta la serie, infatti, è proprio il suo protagonista. Rami Malek è conturbante, affascinante, ti prende allo stomaco e al cervello, stimola istinti bassissimi e altissimi nel telespettatore. La serie è lui, anche se attorno al suo personaggio ruota una marea di spunti, citazioni, input sociali e politici. Si fanno nomi e cognomi (Steve Jobs non ne esce benissimo, per esempio) e nella E Corp (subito ribattezzata Evil) riconosciamo tutti i difetti e le bassezze di chi manda avanti (o indietro, dipende dai punti di vista) l’economia del pianeta.

È una visione apocalittica della società economica in cui viviamo, persino troppo. Ma l’approccio anarco-insurrezionalista della F Society (il gruppo di hacker che puntano a rovesciare il tavolo dei potenti) è funzionale alla riuscita della serie. È un V per Vendetta con molte più aderenze alla realtà, il racconto malato di una società malata.

Anche chi solitamente non ha un approccio così paranoicamente complottista nei confronti del “sistema”, dopo aver visto Mr. Robot sente dentro un’inquietudine positiva, si pone qualche domanda, magari ha persino voglia di fare qualcosa. Poi gli effetti della serie si raffreddano e si sedimentano, diventando quello che devono diventare: suggestioni di un prodotto televisivo di qualità (due Golden Globe recentemente conquistati, con Malek che non l’ha vinto solo perché c’era da premiare Jon Hamm).

In fondo è solo fantasia. O no?

Mr. Robot, il racconto malato di una società malata, ansiogena, paranoica e complottista
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