L'atto del Viminale assegna alla curia la possibilità di scegliere quattro degli undici nomi che compongono la deputazione, organismo laico affidato a famiglie nobiliari che da secoli gestiscono la cappella del patrono della città. Loro reagiscono: "Cavallo di Troia per minare la nostra istituzione"
Il ministro Angelino Alfano e il cardinale Crescenzio Sepe mettono le mani sul tesoro di san Gennaro. Dino Risi lo aveva immaginato che, prima o dopo, i gioielli donati nel corso dei secoli al patrono di Napoli da nobili, teste coronate di tutta Europa, imperatori e Papi avrebbero fatto gola a qualcuno. E nel 1966, nel suo celebre film Operazione san Gennaro, aveva fatto interpretare a Nino Manfredi e a Totò i panni dei ladri del tesoro più prezioso al mondo, di valore superiore perfino a quello della Regina d’Inghilterra. Certo questa volta non si tratta di furto, ma, per i fedeli e nobili custodi delle reliquie e del patrimonio del patrono di Napoli siamo davanti a un “cavallo di Troia del Viminale per minare dalle fondamenta la nostra istituzione”, come denuncia indignato il nobile Riccardo Imperiali di Francavilla, delegato per gli affari legali della deputazione di san Gennaro. Una guerra santa ma anche una battaglia legale senza precedenti nella storia del santo martirizzato a Pozzuoli nel IV secolo dopo Cristo.
Ma andiamo con ordine. Cosa è successo? La deputazione di san Gennaro, organismo laico che da secoli gestisce la cappella e il tesoro del patrono di Napoli, ha annunciato ricorso contro un decreto del ministero dell’Interno che modifica i criteri di nomina dei suoi membri. Secondo le nuove disposizioni, infatti, ai discendenti delle famiglie nobili del capoluogo campano si affiancherebbero 4 membri di nomina della curia, cioè del cardinale Sepe, facendo così perdere alla deputazione il suo carattere secolare di laicità e di autonomia dall’arcidiocesi partenopea. La deputazione si costituì nel 1601 e da allora, malgrado numerosi tentativi degli arcivescovi di Napoli di assumerne il controllo, ha sempre mantenuto la sua indipendenza. È presieduta, infatti, dal sindaco partenopeo e su di essa il cardinale Sepe non ha alcuna giurisdizione.
“Il decreto del ministero dell’Interno – denuncia Imperiali di Francavilla – equipara la deputazione a una Fabbriceria, cioè a un ente che provvede al mantenimento dei beni dei luoghi sacri, e rinomina arbitrariamente gli 11 deputati attualmente in carica, assumendosi così un ruolo che non gli compete. Abbiamo tempo per opporci, entro il 4 aprile, ed è quello che faremo per bloccare un autentico fuori d’opera giuridico, amministrativo e storico”. La Fabbriceria, infatti, esercita la sua funzione “senza alcuna ingerenza nei servizi di culto, mentre la deputazione ha una sua natura sui generis di carattere laico che risponde al ministero dell’Interno e per quanto riguarda il culto intrattiene rapporti direttamente con il Vaticano, attraverso la curia napoletana”.
I membri della deputazione si oppongono anche alla nomina degli 11 deputati in carica fino all’approvazione del nuovo Statuto contenuta in calce al decreto del Viminale. “Non ha fondamento normativo – sottolinea Imperiali di Francavilla – perché la nomina compete alla deputazione stessa”. I custodi del tesoro di san Gennaro raccontano anche di tensioni crescenti con il cardinale Sepe da quando, nel 2006, è arrivato alla guida dell’arcidiocesi di Napoli. Il delegato agli affari legali non nasconde i numerosi tentativi fatti per rinnovare il vecchio statuto, risalente al 1894, assieme ai rappresentanti del porporato. “La deputazione – precisa ancora Imperiali di Francavilla – ha tentato invano, pur se non strettamente tenuta a tanto, di raggiungere una bozza di Statuto condivisa con gli altri rappresentanti nominati dal cardinale Sepe. Quando però si è arrivati alla stesura definitiva, il cardinale ha semplicemente preferito ignorare il documento perché non conteneva l’unica parte che davvero lo interessava, cioè la nomina dei ‘suoi’ rappresentanti sui quali la deputazione non intende transigere per non tradire la consegna ricevuta”.
In perfetta sintonia il vicepresidente della deputazione, il duca Riccardo Carafa d’Andria: “Abbiamo dovuto difenderci per secoli, ma il nostro compito è rimasto sempre quello di tenere saldo il legame tra un culto antico, documentato per iscritto già nel XIV secolo, e la città intera che rappresentiamo”. I membri della deputazione sottolineano che, insieme agli attacchi, più o meno velati, del cardinale Sepe, molto insinuante negli ultimi anni è stata la pressione del Comitato diocesano san Gennaro. Nato originariamente per occuparsi esclusivamente della feste, con la raccolta delle offerte, esso è diventato sempre più un vero e proprio alter ego della deputazione.
“Ritengo che sia sbagliato eliminare la deputazione”, sottolinea Paolo Iorio, direttore del Museo del tesoro di san Gennaro. “Nel corso dei secoli ha sborsato parecchi soldi propri per custodire la memoria e il patrimonio del santo. È una realtà laica, non laicista, che è giusto preservare lasciando perdere che tutto ciò che riguarda la liturgia compete alla curia”. Per Iorio la contesa tra Viminale e deputazione “non è una questione di poco conto, ma riguarda 4-5 secoli di storia. Dal punto di vista giuridico è tutto così evidente. L’ultima bolla pontificia in merito è di Pio XI ed è di una chiarezza unica. Spero si arrivi presto a una pacificazione: non si tratta di mantenere un privilegio ma una antichissima tradizione voluta dalla città di Napoli”.
Twitter: @FrancescoGrana